martedì 16 agosto 2016

L'orizzonte

Quando lo vide entrare, quel pomeriggio, intuì che avrebbe avuto molte cose da dirle. Le vacanze estive avevano imposto una pausa a causa della quale non si erano visti per più tempo del solito.
Il Come sta? era di rito, e con quello decise di cominciare.

"Credo che mi manchi un orizzonte. Un orizzonte mio", le rispose. "Ho pensato molto all'attaccamento che hanno verso le montagne coloro che vi sono nati. A me tolgono il respiro, inizialmente in positivo, sa, le solite storie sulla maestosità dei luoghi, sulla limpidezza del cielo, tutto vero, tutto splendido. Poi passano pochi giorni e sopraggiunge un senso di chiusura, di esilio, di forme troppo grandi che incombono".
"Ha provato a immaginare di interromperle? Se ci mettessimo in mezzo un lago, la situazione migliorerebbe?"
"Un lago... Ci ho provato. Così fermo, tranquillo, una buca sulla quale non potrei fare affidamento, un baratro mascherato con un lenzuolo d'acqua. Un lago mi fa sentire una mano alla gola. Incastrato tra le montagne, è così che lo sta visualizzando? Ma non si sente soffocare, tirare verso il basso? In quella sacca a cui manca movimento, un conto sono le onde del mare..."
"Preferisce il mare?"
"Come dice, mi scusi?"
"Ha nominato il mare. Le piace?"
"Ho dei bei ricordi legati al mare, questo sì. Mi piacciono gli odori... la mattina presto, i pescatori che puliscono le reti...
Conobbi un ragazzo, un giorno. Aveva un modo di guardarti che sembrava aver già capito tutto, forse era il modo con cui aggrottava le sopracciglia. Era triestino di origine. Mi disse che gli mancava il mare. Nella città dove viveva da due anni, mi disse, gli mancava l'orizzonte del mare, non avrebbe mai potuto rimanere a lungo in un posto in cui non potesse lasciare andare gli occhi e le idee.
Lui ce l'aveva, un orizzonte.
E io intanto pensavo che quell'orizzonte, su di me, ha tutt'altro effetto, mi induce a chiedermi La fine, per cortesia, si potrebbe vederla, la fine?
A me del mare piacciono gli odori, quello del sale che resta sulle braccia, quello delle reti. Ma bisogna fare i conti con i rumori, con le voci.
Si è mai seduta sugli scogli, la sera, quando la luce del sole sta calando? Ha sentito come si frantumano, le onde, su quei sassi? Verrebbe da raccoglierne i cocci, non trova?, e invece in un momento ne arriva un'altra, e poi un'altra, un assedio infinito, schiaffi che si susseguono senza tregua, senza uscita..."
"Si direbbe che a darle problemi siano gli spazi naturali, non crede?"
"No. O meglio, non solo. Non amo nemmeno il brulicare delle grandi città. Intrecci di strade su cui si allineano ordinatamente centinaia di automobili, le ha mai viste, dall'alto? Non le sembra di osservare un termitaio? E, mi dica, sarebbe disposta a vivere come una termite? Non le piace il paragone, mi rendo conto, e non posso dire di non capirla. Ma entri in una metropolitana e le osservi, le conti, tutte quelle api, le api le piacciono di più?, tutte quelle api senza una regina. Certo, va detto, una ragazza può permettersi di andare in giro con i collant bucati senza essere notata, al più si potrebbe scambiarla per una punk sottotono, quando invece, se l'immagina la stessa situazione nel paesetto da cinquemila anime, quanto crede che ci metterebbero a girare, le voci, sul vedi un po' come va in giro la figlia del farmacista?
Ho già pensato a parecchie alternative, come vede. Ma non trovo una soluzione. Sembro incontentabile come una donna che voglia comprare un paio di scarpe..."
"...o come un uomo che voglia comprare un'automobile".
"O come un uomo che voglia comprare un'automobile, certo".
"A lei invece non interessano né automobili né scarpe. Preferirebbe una soluzione".
"Un orizzonte. Preferirei un orizzonte".

mercoledì 10 agosto 2016

Le gengive e i perché

L'età dei perché, nei bambini. Ad averci a che fare, purché per un tempo limitato, è meravigliosa, sintomatica di qualcosa che sta evolvendo, di un'intelligenza che sta crescendo. È bello poter chiedere il perché di qualsiasi cosa, ed essere legittimati ad aspettarsi una risposta. Poi, col tempo, se davvero l'intelligenza nel frattempo si è premurata di crescere, si dovrebbe capire che non è possibile né socialmente accettabile domandare agli altri quale sia la causa di tutto.

Ero in tram, qualche giorno fa. Di fronte a me, un ragazzo dalle gambe scomodamente lunghe stava telefonando a qualcuno, e con questo qualcuno stava cercando di organizzare non so se un aperitivo o una cena o insomma un'occasione per vedersi. Solo che, da quel che si poteva intuire, il qualcuno in questione aveva qualche altro impegno. La cosa avrebbe potuto concludersi lì. E invece il trampoliere telefonante insisteva. Vabbè, penso tra me, evidentemente ci tiene. Solo che insisteva tanto, e in un modo che francamente mi sembrava trasudare ottusità, e che non mi andava bene. Infatti, benché io stessi sentendo solo parte della conversazione, era facile capire che il tizio davanti e me voleva a tutti i costi sapere perché il proprio interlocutore fosse disposto a dare forfait all'appuntamento. E siccome non sopporto che perché di questo tipo vengano chiesti, gli avrei volentieri detto che...

Ma venerdì sei libero?
Temo di no.
Oh... perché?
Dentista.
Eh?
Ho il dentista.
Ma a che ora?
Primo pomerig...
Perché io pensavo a un aperitivo tipo per le ...
...gio inoltrato verso le 18.30.
Ah accidenti, ma sono cose lunghe?
Eh, lo sai com'è, è un attimo che ti capita di trovare il tipo con l'emergenza che ti passa davanti, l'imprevisto, il ritardo...
Eh ma è un peccato perché poi la settimana dopo non ho neanche una sera libera.
Guarda, ci proverei anche a spostarlo, l'appuntamento. Ma non ho mai visto un'estetista con un'agenda così piena...
Estetista?
Sì.
Quale estetista?
Venerdì.
Ma non era il dentista?
Ah. Sì. Nel senso. Devo depilarmi le gengive.
Oddio!
Cosa?
Ma farà malissimo!
Eh.
...
Ma d'altronde.
Sì beh certo.

Chiaro che la telefonata non è andata così, mica potevo sentirla per intero. O forse potrebbe anche essere andata proprio così, chi può dirlo? Fatto sta che sono scesa dal tram pensando che da piccola mi insegnavano che non esistono domande stupide. E invece non solo credo che esistano, ma sono anche convinta che si meritino le risposte più inverosimili.

lunedì 8 agosto 2016

Il mio amico George (25)

"L'ho visto cambiato", mi raccontava domenica scorsa George. "Ma non in meglio o in peggio, eh. Solo cambiato, O forse erano solo le mie speranze, ciò di me che stavo proiettando su di lui, forse era solo ciò che io mi stavo aspettando a essere cambiato".
Lo ascoltavo, e intanto riuscivo a immaginarlo mentre distoglieva lo sguardo e con esso, apparentemente, l'attenzione, da ciò che mi aveva appena raccontato. Come se non ne fosse stato toccato. Come se ciò che accadeva lo sfiorasse appena, e casualmente. Come succede a volte, quando procedeva a fare qualcosa, tipo esistere, nonostante ignorasse alla radice il modo per farlo.