mercoledì 28 dicembre 2016

Rossi.

Rossi.
A distogliermi, tra i colori, è la sorpresa dei papaveri.
Malconci, dopo la pioggia, o festosi e ignari.

Rossi, simbolo di sonno e oblio, dicono; della dimenticanza necessaria per rimanere, per essere presenti.

È dicembre, e mi mancano, i papaveri.


martedì 27 dicembre 2016

Il mio amico George (29)

"Ciò che mi fa accettare di entrare in un labirinto" mi confessa, dopo un paio di giorni in cui non si è fatto sentire, "è solo la speranza in una possibilità di uscirne.
Non possiedo un filo, le sole cose che mi consentono di seguire un percorso sono le mie parole e i silenzi. Le parole, e i silenzi, e le domande, spesso sbagliate, lo ammetto, ma sbagliare fa bene alla mia arroganza".

Ricordo Ende, l'avevamo letto entrambi una decina di anni fa.

"Ricordi" mi chiede "Ende? Ci sono labirinti da cui si può uscire solo se si è felici. Ma si è felici solo una volta che da quei labirinti si sia usciti".


martedì 20 dicembre 2016

L'empatia a coda

Non lo so mica se la responsabilità vada attribuita a Chi ha incastrato Roger Rabbit o alla pubblicità del Nespresso. O forse a nessuno dei due, eh. Il primo lo vidi da piccola, è passato tanto tempo, però magari proprio per questo riuscì a influenzarmi inconsciamente. La storia del caffè invece è più recente, e per di più ripetuta su un tempo tutto sommato relativamente lungo, la classicissima goccia che scava la pietra. Insomma, sia come sia, l'immagine che mi ritrovo in testa con una certa frequenza è quella del pianoforte, il pianoforte che, dal cielo, cade impietoso e imparziale in testa a qualcuno. E mi si ripresenta, 'sto pianoforte, con parecchia (mia) soddisfazione, in particolare con coloro che non siano in grado di praticarla nemmeno ai livelli minimi, l'empatia.

Lo so che, gira e rigira, finisco sempre e ripetitivamente lì, ma se non si è in grado di percepire la natura potenzialmente fragile di chi ci sta davanti, la sua vulnerabilità, allora un pianoforte in testa mi sembra una soluzione onesta. O, come alternativa meno sanguinolenta, una temporanea perdita della capacità di fonazione.
Perché a non lamentarsi, davanti a qualcuno su una sedia a rotelle, a non lamentarsi delle rampe di scale appena salite è capace, spero, chiunque. Riconoscere mancanze meno evidenti, invece, ed evitare di far pesare ciò che, a differenza di altri, si possiede, questo richiede attenzione, e impegno, ma non per questo è meno fondamentale per evitare di muoversi come panzer in un negozio di cristalli fragili. E vulnerabili.

lunedì 19 dicembre 2016

Profumo di dubbio

Avete mai assistito a una scena di qualcuno che voglia regalare un profumo a una persona della quale non conosca i gusti in termini di, per l'appunto, profumi? Non so come possa passare per la testa, ma succede. Tipicamente la persona in questione si farà guidare dai propri gusti, cosa del tutto priva di senso, dato che il destinatario del regalo potrebbe avere inclinazioni completamente diverse ma... Ma mi rendo conto che il passaggio che va dal piace a me all'è buono sia un sentiero tentatore pericolosamente in discesa.
Dovrebbero essere avvantaggiati in tutto ciò coloro i quali si rechino in due (A e B) a compiere un'azione di questo tipo. Sì perché in questi casi si comincia col primo tester spruzzato sulla prima striscia di prova che viene passata al Soggetto A. Segue scena tipica.

A, pensieroso: "Sì... Sì, mi piace. Tu che dici?", passando il tester a B.
B, ritraendosi schifato: "Mio dio, non lo metterei al cane!"

E qui, fossimo in un film, bisognerebbe giocare con le musiche e le luci, perché questo dovrebbe essere il momento dell'epifania, il momento in cui sia A sia B si rendono conto che non ha senso usare i propri gusti per scegliere un profumo per un'altra persona, dato che la variabilità interindividuale è vastissima, imprevedibile, incolmabile.
Ma non siamo in un film, niente luci, niente musiche. E niente presa di coscienza. I due continueranno imperterriti, mezzo litigando mezzo stupendosi dei gusti reciproci, e finendo col prendere qualcosa che convince poco entrambi, ma che almeno non fa schifo a nessuno dei due. Ma chi sarebbe pronto a scommettere che una reazione disgustata non verrà proprio al destinatario del regalo? Perché a nessuno dei due passa per la testa? Perché non allargare il ciò che piace a me non sempre piace a lui al ciò che piace a noi non necessariamente piacerà a lei?

Ho assistito anche a scene in cui gli amici coinvolti nella scelta erano in tre: qui le combinazioni diventano 2^3 se, semplificando, ammettiamo che le decisioni di ciascuno siano binarie (mi piace / non mi piace), quindi escludendo tutti i ripensamenti e le sfumature di insicurezza intermedia. Inverosimile.
Sono situazioni che possono trascinarsi per delle mezz'ore.

Non so se si sia mai verificata l'eventualità di quattro persone che cerchino di convergere sulla scelta di un profumo. Ma credo che nell'universo in cui ciò sia accaduto, il fluire degli eventi si sia incagliato in un loop senza uscita.

domenica 18 dicembre 2016

Un monologo a due

Stropicciarmi gli occhi è un'azione che faccio di rado. Credo significhi un misto di sono a casa, di sono struccata, di sono rilassata e non sto pensando a niente, ma proprio a niente, il brusio del mondo lo lascio fuori per un po'. Poi è un attimo venire interpretati in modo scorretto: in genere in queste circostanze si finisce col tenere lo sguardo rivolto a un orizzonte lontano, e uno spettatore poco attento potrebbe pensare che occhi che guardino così distante sottendano chissà quali riflessioni su chissà quali problemi e verità. Macché.
Proprio a questo niente stavo pensando, ignara di me stessa che giravo con meccanica abitudine il cucchiaino nella tazza del caffè, quando involontariamente ho cominciato a stropicciarmi un occhio. Se n'è accorta, in vece mia, mia mamma.

- Ti fa male un occhio?
- Eh? Occhio? No no, per nien...
- Dai, porta pazienza, sarà lo strascico dell'influenza.
- ...

Fortunatamente il niente era ancora lì ad aspettarmi.

domenica 11 dicembre 2016

Smettere di fumare - Il mio amico George (28)

"È un po' come andare in bicicletta, sai, niente di più: una volta che hai imparato a farlo, non te lo dimentichi".
Non sto più a cercare di capirli subito, i paragoni che si inventa George. Lo lascio andare, lo lascio raccontare.
"Di', te la ricordi la prima volta che hai smesso di fumare? Non ci conoscevamo da molto, ma il modo con cui prendesti la decisione, apparentemente pensando ad altro, distratta come sempre, mentre camminavi sotto i portici, mi lasciò capire che non scherzavi, avresti smesso. E così facesti, quella prima volta, così come poi le successive. Sempre per motivi diversi, una volta perché era ridicolo, una volta perché era sbagliato, o perché ti deconcentrava, o era inutile. Ma sei sempre riuscita a smettere, anche in modo definitivo, un paio di volte, se non addirittura tre. Ogni volta rimettendoci un po' di sonno, fame, e umore. Ogni volta trovando un po' di pace".

giovedì 8 dicembre 2016

Solo un'ombra

La diffidenza si spingeva a volte fino a rassomigliare alla paura, quella del capriolo che si nasconda non appena gli si presenti un'ombra. E chi glielo spiega, al capriolo, che si tratta quasi sempre solo di un ramo mosso dal vento?
La diffidenza si ripiegava, proiettandosi prima verso l'esterno, sugli altri, poi verso l'interno, così noto e familiare, quell'interno in cui sapeva muoversi come fosse a casa propria.


martedì 6 dicembre 2016

Gelida, la quiete

La nebbia, stasera, passava accanto alle luci, riempiendo vuoti di cui, prima, non si sarebbe notata l'esistenza. Dei vuoti, dico.
Non è semplice, non credo lo sia, rendersi conto dei vuoti.
Eppure la nebbia, stasera, riusciva a infilarcisi, elusiva. Riusciva a frapporsi tra me e le cose, tra me e la strada, tra me e i vuoti di cui non mi fa accorgere.

domenica 4 dicembre 2016

Fuori mercato

"Provi" mi consigliò "a non dare quella tinta malinconica, all'espressione del viso. Sarebbe un errore, molto comune, glielo concedo, in effetti è un errore che fanno in molti, specie nei momenti di distrazione, ha mai guardato le facce delle persone in coda alla cassa, al supermercato, per esempio, o appena si siedono in treno, sono pochi attimi, brevi, ma sono attimi in cui non c'è niente a cui pensare, il problema del dentifricio e dei biscotti, del binario e della carrozza è alle spalle, e quello delle borse da riempire o del bagaglio da recuperare deve ancora concretizzarsi, e allora lei le guardi, quelle facce, in quegli istanti, e vedrà che ce n'è qualcuna che cede alla malinconia, per qualcosa che manchi, o che non sia riuscita, o che sia riuscita e proprio per questo abbia perduto il proprio valore, e sono quelli gli attimi, brevi, di vulnerabilità.
Ma la vulnerabilità è fuori mercato, costa cifre irragionevoli, è meglio concedersela con parsimonia dato che, come capirà lei stessa, sono molto pochi coloro che se la possono permettere".

giovedì 24 novembre 2016

Ritornare

Dopo i saluti, dopo gli auguri, e ancora dopo i saluti e gli a presto, restò un silenzio crepuscolare. Sembrava che ciascuno, nel fare ritorno al proprio verso dove, si fosse portato via una piccola luce, una cosa minuta, ciascuno la propria, e ciascuno l'avrebbe portata fino a casa, perché tutti avevano un luogo da chiamare casa.


lunedì 21 novembre 2016

Il mio amico George (27)

"Immagina un madonnaro che provi a disegnare qualcosa sotto la pioggia: da un lato lui e i suoi ingenui gessetti colorati, dall'altro acqua che scroscia torrenziale. È così, il mio cervello, quando sono sotto la doccia. Dovrei viverci, sotto la doccia, sai: non riesco a ragionare su alcunché, come se quel getto che scende lavasse via sul nascere ogni tentativo di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa, seria, ridicola, triste, vera, irrealizzabile... Tutto diventa liquido e scorre via, ogni ricordo, anche quelli belli, che a volte sono i più pesanti".
Non so contraddirlo.
"Dovrei viverci, sotto la doccia. È un buon antidoto. Anche se, a ben guardare, non sono sicuro di saper dare il nome al veleno".


lunedì 14 novembre 2016

Un incredibile talento

Lo suonava, il violino, come se gli parlasse.
Sembrava una cosa tra loro due. Che poi ci fosse o meno qualcuno ad ascoltarli, quello era del tutto irrilevante. Irrilevante per loro, dico. Perché per colui a cui capitava la fortuna di esserci, lì, presente, mentre quei due si parlavano, la cosa non avrebbe potuto esserlo, irrilevante.
Lo suonava, e sapeva risvegliarti una nostalgia sottilissima, uno spiraglio malinconico, la nostalgia di ciò che avresti sempre desiderato, magari senza neanche saperlo.

Sarebbe stato ingiusto che gli chiedesse Suonami la stessa cosa, ma al pianoforte. Perché lui, col pianoforte, mica sapeva parlare. Non sarebbe stata la prima, lei, ad avanzare una richiesta simile. E lui avrebbe voluto, tutte le volte in cui gliel'avevano chiesto, in quei momenti più che in qualsiasi altro, avrebbe voluto barattare il proprio incredibile talento per il violino con un minimo di abilità nel percorrere quei pochi tasti contrastanti.

Sarebbe stata ingiusta a chiedergli di suonare il pianoforte. Sarebbe stato un errore, per lui, desiderare quell'iniquo baratto.

martedì 8 novembre 2016

L'incrocio, la casa, la chiesa, la borsa

Se avesse avuto un'anima, in quel momento gli si sarebbe sfondata. Accartocciata. E forse ce l'aveva, una di quelle che li passano, i metal detector, senza farli suonare.
Gli si sarebbe sfondata come una scatola di cartone, vuota, sotto i colpi di uno stivale. Si sarebbe accartocciata, sotto i colpi delle parole, parole che nominavano oggetti, parole accessorie, evitate le parole che non siano essenziali, avrebbe detto, fate silenzio, avrebbe pensato, io chiuderò la bocca, e lo stomaco, così sarebbe scappato più agevolmente, o comunque sarebbe scappato, in qualche modo, per correre là da dove poi avrebbe avuto modo di scappare, solo colmate un'ultima volta il bicchiere, pieno, ma che non una goccia scivoli dal bordo, che non una goccia righi il vetro.


domenica 6 novembre 2016

Let go

Lasciami andare, non lasciarmi andare, lasciami andare, se non lo fai continuerò ad aver paura che mi lascerai andare, non lasciarmi andare, ho il terrore di muovermi, là fuori, lasciami andare, lasciami andare, lasciami andare, non farlo

sabato 5 novembre 2016

Succede il silenzio

Li noti, i contrasti?
Se, trascorse giornate e parole e rumori e telefoni e clacson,
ti parlassi

o se, dopo voci e squilli e trambusto,
se lasciassi
succedere
il silenzio
dopo lo strepito e le chiacchiere
che giudicano o assolvono
se succedesse, dico,
il silenzio

lo noteresti, il contrasto?

Esisto in ordinarie differenze
Mi risveglia il segreto silenzio che fa compagnia

venerdì 28 ottobre 2016

Che qualcuno dica qualcosa...

La prima cosa di cui ti accorgerai sarà che non ci sarà nulla di cui accorgersi: non i soliti rumori, di passi, di frasi. Non di un bicchiere appoggiato sul tavolo, né dell'acqua che scorre da un rubinetto aperto. Non la televisione già accesa, non le ruote di un'auto sul ghiaino.

Penserai che non serve riflettere solo sulle parole da dire, e delle quali potresti essere chiamato a render conto, perché capirai di dover rendere conto anche dei silenzi. Allora spererai che qualcuno dica qualcosa, qualcuno che parli, per cortesia!, come se ti trovassi in una biblioteca capovolta, qualcuno che dia voce a qualche pensiero...

Penserai che le hai già conosciute tutte, hai già conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi, quelli in cui qualcuno che dica qualcosa, vi prego!, quelle in cui i cocci non facevano rumore, a camminarci sopra: c'erano, i cocci, ma non facevano rumore, e non erano di qualcuno, e forse nessuno aveva rotto nulla, qualcuno aveva dimenticato, e ora, camminandoci, non facevano più rumore.



mercoledì 26 ottobre 2016

Errore evolutivo

Ricordo che George era rimasto colpito, quando andavamo a scuola, dal termine gasteropode, gli piaceva già allora giocarci, con le parole, smontarle, rimontarle, cercare cosa ci stesse dietro, immaginare a chi potesse essere venuto in mente di far camminare quei molluschi sulla propria pancia. I piedi nello stomaco.
"Eppure, mia cara", riconosce, dopo anni di distanza, "credo che preferirei i piedi, a una mano che si apre, tende per bene tutte le dita, e si serra di scatto, richiudendoselo dentro, lo stomaco, e tutto il resto".

domenica 23 ottobre 2016

Per una vera, mille sono finte

Strizziamo gli occhi per sforzarci di vedere ciò che non c'è, forse c'è, o forse era un'ombra, è così distante, non si capisce. Non si capisce.
Strizziamo gli occhi, e il pensiero, per convincerci che ci sia, oltre la realtà più semplice, ciò che vorremmo ci fosse, che magari c'è, o forse no.
E ci alleniamo a farlo, involontariamente, ma con costanza, fin da bambini, da quando ci accorgiamo che non ci basta più ciò che possiamo toccare, e allora alziamo lo sguardo un po' più in alto, ma non riusciamo a limitarci a osservarle, le nuvole, per ciò che sono, no, ci viene naturale vederci dell'altro dentro, una tigre, una barca a vela, e non ci riesce nemmeno di farlo da soli, dobbiamo anche mostrare agli altri ciò che crediamo di vedere, forse per convincerci che davvero quella non sia solo una nuvola, però è sempre così difficile trovare qualcun altro che la riconosca, la tigre, e che faccia in fretta, prima che il vento sbricioli tutto, la vedi?, quella è la zampa, lì il muso, e l'orecchio lo fai con quel pezzo più a destra, sbrigati, la vedi?, ecco, si sta sciogliendo, l'hai vista?

Strizziamo gli occhi, e il pensiero, e sopravviviamo, assieme alla tigre.



sabato 15 ottobre 2016

Manuale distruzione

Me ne sto in piedi, io, mentre la mia mente s'è seduta a guardare distrattamente una serie di pensieri svogliati, una bonaccia di idee che solo le ore di forzata attesa sanno evocare. Ho otto persone stravaccate alle mie spalle, e dal vetro su cui si specchiano vedo che ciascuna di loro sta digitando cose sulla propria scatola nera. La mia l'ho spenta per un po', e per ingannare il tempo osservo dal vetro, nonostante il buio e la pioggia, l'abitudine con cui sottomettiamo la forza di gravità, un tempo così democratica.
Inganno il tempo, ma cerco di non ammazzarlo, non mi è mai piaciuta l’espressione ammazzare il tempo, se c’è una cosa da non ammazzare è proprio lui. Ammazzare non è reversibile. Ingannarlo, il tempo, richiede prudente astuzia.
Gironzolo, e leggo preoccupazione nel volto delle persone in attesa dell’imbarco per Fiumicino, la leggo nel loro gettare un’occhiata furtiva e timorosa alla larghezza del ragazzo con la camicia blu che prenderà il loro stesso volo, leggo un allarmato no, dai, non vicino a me… negli occhi di tutti. Non in quelli di lui, apparentemente ignaro. Dribblo trolley, inanello gate e destinazioni, e un timore simile a quello appena visto lo leggo nei passeggeri diretti a Francoforte, o almeno in quelli di loro che si sono resi conto di quanta potenza vocale riesce a sviluppare quel bambinetto che non ne vuole sapere di starci, nel passeggino, o in braccio alla mamma, o in braccio al papà, o in aeroporto, o in aereo, o dovunque si cercherà di sistemarlo nelle prossime tre ore.


Ho un tale sonno che se cedo a una sedia mi addormento e perdo il mio, di volo. Esisterà un manuale distruzione per le attese, i rumori, gli altoparlanti metallici, la lontananza, ma da dove, poi?, se anche muovendoci la distanza non cambia.


lunedì 26 settembre 2016

In prima serata, il niente da dirci

Mi irrita essere incastrata tra l'insalata e il telegiornale, sì, mi irrita dover convivere con una tv accesa mentre sto mangiando. Non so perché lo facciamo, se per ottimizzare i tempi o per coprire il niente che rischiamo di avere da dirci.
È che a forza di sentire le peggior cose mentre ti chiedo di passarmi l'aceto, mentre mi dici che sono avanzate delle zucchine, a forza di vivere il quotidiano tenendo come sottofondo, indifferentemente, notizie tremende e gossip estivo, perdo il senso dell'ordinario, mi abituo, e io non voglio abituarmi, non voglio sfogliare giornate, mie e altrui, con annoiata noncuranza, non voglio trovarmi con pensieri scarsi e ridicoli e perbene davanti a situazioni serie, gravi, grottesche, terribili.

mercoledì 14 settembre 2016

Un coniglio a caso

All'imbarco mancava ancora quell'oretta che ci pareva inevitabile trascorrere bighellonando un po' in libreria. Stavo ormai per prendere il tascabile che Astair mi aveva appena consigliato, anzi, a dirla tutta l'avevo già in mano, diretta verso la cassa, quando l'occhio mi cadde su un classico che rimandavo da anni. Il classico vince, quasi sempre, così appoggiai il tascabile e mi comprai Sciascia.
Un paio di giorni dopo mandai a LaPeggiore un paio di frasi del libro, ormai terminato, che immaginavo le sarebbero piaciute, e che mi erano piaciute. Ma successe che più che le due frasi, a colpirla fu il fatto che anche lei stava leggendo il medesimo libro dopo averlo, come me, rimandato per anni.

LaPeggiore tende a dare significati alle coincidenze, rimproverandomi di barricarmi dietro un muro di scetticismo e iperrazionalità, così lo chiama lei.
Io non lo so se sia lei troppo votata al pensiero magico, o se sia io esageratamente diffidente. Dove io vedo il caso, lei sa trovare dei significati confortanti. Dev'essere rasserenante, immagino lo sia. Solo che per quanto ci abbiano provato, a farmi credere che dentro al cilindro c'era un coniglio o che la donna nella scatola veniva tagliata in due e poi riattaccata, per quanto ci abbiano provato a farmi immaginare che esistesse la magia, andava sempre a finire che c'era un imbroglio, o un trucco, se la parola imbroglio pare eccessiva.

Mi misi allora a ricordare tutti i libri che non ci è capitato di leggere assieme, perché per quanto ci abbiano provato, a farmi credere alla magia, un cilindro non fa uscire conigli, e una persona spezzata in due non si ricuce.

domenica 11 settembre 2016

Il mio amico George (26)

"Devi convenire, mia cara", mi apostrofa George, il libro ancora tra le mani, "che sbagliare è umano, e perdonare è divino. E io sono così dolorosamente umano, così completamente privo di qualità divine. Così disposto a convincermi che è davvero com'è scritto qui, le parole non sono come i cani, non basta un fischio a richiamarle.
Le parole, e i gesti, non sono come i cani".

domenica 4 settembre 2016

L'empatia in pensione

Quando al liceo si presentava, con scadenza mensile, il compito in classe di italiano, andava sempre a finire che sceglievo la traccia di letteratura: d'altronde fare il tema di storia significava candidarsi volontariamente a un quattro. Quanto al tema di attualità, poi...
Forse a segnarmi indelebilmente, condizionando ogni mia scelta successiva, fu un tema libero che ci toccò svolgere non al liceo, ma addirittura alle medie. Avevo dodici anni, e una delle persone in classe con me ebbe l'idea di scrivere riguardo la (allora) recente morte di Yitzhak Rabin. Ricordo che pensai qualcosa che oggi potrei riassumere con un "Ma de che?", accompagnato da un leggero fastidio che eguaglia solo quello che provo quando sento la gente in tram o alla posta che si compiace di come saprebbe trovare una soluzione al problema dei migranti, alla questione palestinese, al calo del prodotto interno lordo, al prezzo dei carciofi e all'alopecia incipiente di Antonio, il portinaio.
È poco frequente, lo riconosco, sentirmi parlare di argomenti di attualità, figuriamoci se potrei scriverne. E con attualità non mi riferisco mica solo ai problemi da prima pagina dei quotidiani, nossignore: la probabilità di sentirmi argomentare riguardo al protocollo di Kyoto è paragonabile a quella con cui potrei esprimere un parere sulla qualità dell'esecuzione di un tuffo da trampolino durante le olimpiadi. È poco frequente sentirmi parlare di argomenti di attualità non solo perché ad ascoltarmi mi annoio da sola (ci sono persone che sono portate per parlare di cose serie, e per essere ascoltate), ma soprattutto perché per parlare o scrivere serve (servirebbe) avere un'opinione, e per avere un'opinione bisogna (bisognerebbe) essere competenti, e per essere competenti è (sarebbe) necessario possedere delle informazioni attendibili.
Tutto questo preambolo per dire che non esprimerò un'opinione sull'ultima campagna del Ministero della Salute. Solo mi chiedevo se i tizi che l'hanno pensata, mentre erano seduti attorno a un tavolo a partorire gli slogan e le immagini che hanno intasato i social negli ultimi giorni, se questi tizi, dicevo, avranno almeno tentato di mettersi nei panni di coloro che quegli slogan li avrebbero letti e visti. Perché questa cosa dello sforzarsi di guardare un evento con gli occhi di un altro, per immaginare cosa penserebbe e come reagirebbe, questa cosa alla quale sarebbe comodo dare il nome di empatia, non dovrebbe essere solo un fattore di sopravvivenza in un contesto competitivo. Questa empatia dovrebbe essere anche un modo, magari non per dedurre l'esistenza di un'anima, sarebbe troppo, ma almeno per evitare di far sentire inadeguato chi vorrebbe o non vorrebbe per esempio essere genitore, chi vorrebbe o non vorrebbe essere figlio, chi saprebbe o non saprebbe cosa dire, ad Antonio, quando lo si sente dall'androne che si lamenta dei capelli che cadono.

martedì 16 agosto 2016

L'orizzonte

Quando lo vide entrare, quel pomeriggio, intuì che avrebbe avuto molte cose da dirle. Le vacanze estive avevano imposto una pausa a causa della quale non si erano visti per più tempo del solito.
Il Come sta? era di rito, e con quello decise di cominciare.

"Credo che mi manchi un orizzonte. Un orizzonte mio", le rispose. "Ho pensato molto all'attaccamento che hanno verso le montagne coloro che vi sono nati. A me tolgono il respiro, inizialmente in positivo, sa, le solite storie sulla maestosità dei luoghi, sulla limpidezza del cielo, tutto vero, tutto splendido. Poi passano pochi giorni e sopraggiunge un senso di chiusura, di esilio, di forme troppo grandi che incombono".
"Ha provato a immaginare di interromperle? Se ci mettessimo in mezzo un lago, la situazione migliorerebbe?"
"Un lago... Ci ho provato. Così fermo, tranquillo, una buca sulla quale non potrei fare affidamento, un baratro mascherato con un lenzuolo d'acqua. Un lago mi fa sentire una mano alla gola. Incastrato tra le montagne, è così che lo sta visualizzando? Ma non si sente soffocare, tirare verso il basso? In quella sacca a cui manca movimento, un conto sono le onde del mare..."
"Preferisce il mare?"
"Come dice, mi scusi?"
"Ha nominato il mare. Le piace?"
"Ho dei bei ricordi legati al mare, questo sì. Mi piacciono gli odori... la mattina presto, i pescatori che puliscono le reti...
Conobbi un ragazzo, un giorno. Aveva un modo di guardarti che sembrava aver già capito tutto, forse era il modo con cui aggrottava le sopracciglia. Era triestino di origine. Mi disse che gli mancava il mare. Nella città dove viveva da due anni, mi disse, gli mancava l'orizzonte del mare, non avrebbe mai potuto rimanere a lungo in un posto in cui non potesse lasciare andare gli occhi e le idee.
Lui ce l'aveva, un orizzonte.
E io intanto pensavo che quell'orizzonte, su di me, ha tutt'altro effetto, mi induce a chiedermi La fine, per cortesia, si potrebbe vederla, la fine?
A me del mare piacciono gli odori, quello del sale che resta sulle braccia, quello delle reti. Ma bisogna fare i conti con i rumori, con le voci.
Si è mai seduta sugli scogli, la sera, quando la luce del sole sta calando? Ha sentito come si frantumano, le onde, su quei sassi? Verrebbe da raccoglierne i cocci, non trova?, e invece in un momento ne arriva un'altra, e poi un'altra, un assedio infinito, schiaffi che si susseguono senza tregua, senza uscita..."
"Si direbbe che a darle problemi siano gli spazi naturali, non crede?"
"No. O meglio, non solo. Non amo nemmeno il brulicare delle grandi città. Intrecci di strade su cui si allineano ordinatamente centinaia di automobili, le ha mai viste, dall'alto? Non le sembra di osservare un termitaio? E, mi dica, sarebbe disposta a vivere come una termite? Non le piace il paragone, mi rendo conto, e non posso dire di non capirla. Ma entri in una metropolitana e le osservi, le conti, tutte quelle api, le api le piacciono di più?, tutte quelle api senza una regina. Certo, va detto, una ragazza può permettersi di andare in giro con i collant bucati senza essere notata, al più si potrebbe scambiarla per una punk sottotono, quando invece, se l'immagina la stessa situazione nel paesetto da cinquemila anime, quanto crede che ci metterebbero a girare, le voci, sul vedi un po' come va in giro la figlia del farmacista?
Ho già pensato a parecchie alternative, come vede. Ma non trovo una soluzione. Sembro incontentabile come una donna che voglia comprare un paio di scarpe..."
"...o come un uomo che voglia comprare un'automobile".
"O come un uomo che voglia comprare un'automobile, certo".
"A lei invece non interessano né automobili né scarpe. Preferirebbe una soluzione".
"Un orizzonte. Preferirei un orizzonte".

mercoledì 10 agosto 2016

Le gengive e i perché

L'età dei perché, nei bambini. Ad averci a che fare, purché per un tempo limitato, è meravigliosa, sintomatica di qualcosa che sta evolvendo, di un'intelligenza che sta crescendo. È bello poter chiedere il perché di qualsiasi cosa, ed essere legittimati ad aspettarsi una risposta. Poi, col tempo, se davvero l'intelligenza nel frattempo si è premurata di crescere, si dovrebbe capire che non è possibile né socialmente accettabile domandare agli altri quale sia la causa di tutto.

Ero in tram, qualche giorno fa. Di fronte a me, un ragazzo dalle gambe scomodamente lunghe stava telefonando a qualcuno, e con questo qualcuno stava cercando di organizzare non so se un aperitivo o una cena o insomma un'occasione per vedersi. Solo che, da quel che si poteva intuire, il qualcuno in questione aveva qualche altro impegno. La cosa avrebbe potuto concludersi lì. E invece il trampoliere telefonante insisteva. Vabbè, penso tra me, evidentemente ci tiene. Solo che insisteva tanto, e in un modo che francamente mi sembrava trasudare ottusità, e che non mi andava bene. Infatti, benché io stessi sentendo solo parte della conversazione, era facile capire che il tizio davanti e me voleva a tutti i costi sapere perché il proprio interlocutore fosse disposto a dare forfait all'appuntamento. E siccome non sopporto che perché di questo tipo vengano chiesti, gli avrei volentieri detto che...

Ma venerdì sei libero?
Temo di no.
Oh... perché?
Dentista.
Eh?
Ho il dentista.
Ma a che ora?
Primo pomerig...
Perché io pensavo a un aperitivo tipo per le ...
...gio inoltrato verso le 18.30.
Ah accidenti, ma sono cose lunghe?
Eh, lo sai com'è, è un attimo che ti capita di trovare il tipo con l'emergenza che ti passa davanti, l'imprevisto, il ritardo...
Eh ma è un peccato perché poi la settimana dopo non ho neanche una sera libera.
Guarda, ci proverei anche a spostarlo, l'appuntamento. Ma non ho mai visto un'estetista con un'agenda così piena...
Estetista?
Sì.
Quale estetista?
Venerdì.
Ma non era il dentista?
Ah. Sì. Nel senso. Devo depilarmi le gengive.
Oddio!
Cosa?
Ma farà malissimo!
Eh.
...
Ma d'altronde.
Sì beh certo.

Chiaro che la telefonata non è andata così, mica potevo sentirla per intero. O forse potrebbe anche essere andata proprio così, chi può dirlo? Fatto sta che sono scesa dal tram pensando che da piccola mi insegnavano che non esistono domande stupide. E invece non solo credo che esistano, ma sono anche convinta che si meritino le risposte più inverosimili.

lunedì 8 agosto 2016

Il mio amico George (25)

"L'ho visto cambiato", mi raccontava domenica scorsa George. "Ma non in meglio o in peggio, eh. Solo cambiato, O forse erano solo le mie speranze, ciò di me che stavo proiettando su di lui, forse era solo ciò che io mi stavo aspettando a essere cambiato".
Lo ascoltavo, e intanto riuscivo a immaginarlo mentre distoglieva lo sguardo e con esso, apparentemente, l'attenzione, da ciò che mi aveva appena raccontato. Come se non ne fosse stato toccato. Come se ciò che accadeva lo sfiorasse appena, e casualmente. Come succede a volte, quando procedeva a fare qualcosa, tipo esistere, nonostante ignorasse alla radice il modo per farlo.



martedì 19 luglio 2016

Le prime parole gentili

Mi mettono una strana malinconia, sui campi tagliati, le balle di fieno, al mattino presto, o al tramonto.
Niente di definito, una specie di nostalgia confusa, come ricordi proiettati nel futuro.
Mi mettono una malinconia leggera, hanno qualcosa di buono, qualcosa di dimenticato e gentile, come certe parole.

È a chi ti dice le prime parole gentili che appartieni, in mezzo agli estranei.
- T. B. -

lunedì 11 luglio 2016

E.T., stattene a casa

I giornali di qualche giorno fa mi fanno presente che una certa sonda della NASA è arrivata dove doveva arrivare, e mi viene in mente Voyager, il programma. Quello delle sonde spaziali, non quello televisivo.
Suoni. Ci hanno messo dentro dei suoni. Non solo, ma anche. Due ore di registrazioni su un disco, il cui scopo sarebbe quello di farci conoscere, se putacaso un esserino verde in qualche galassia lontana lontana avesse un vecchio grammofono di nonno in garage. E sapesse come usarlo.
È una bella trovata, in fondo, mandare un campione rappresentativo di noi, così uno si fa un'idea e capisce un po' come siamo, cosa sappiamo fare, insomma, il nostro livello. No?
No. No, perché per come la vedo io abbiamo giocato sporco, abbiamo voluto far passare un sottotetto fatiscente per un'adorabile mansarda. E non lo dico tanto per i suoni naturali che sono stati scelti, ma soprattutto per quelli artificiali: al di là dei saluti in un po' di lingue più o meno attuali, è stata scelta una trentina di brani che comprende tre composizioni di Bach, due di Beethoven, una di Mozart e una di Stravinsky. Ecco, a me 'sta cosa sembra molto poco onesta. Perché, caro alieno che sei lì che ascolti il primo movimento del secondo concerto brandeburghese, devi sapere che queste qui sono quattro persone, quattro, su quante?, non lo so, su tantissime, io non ho idea di quante miliardate di uomini siano esistite ad oggi, ma la frazione "quattro su taaaante tante tante" è ridicola, irrisoria, infinitesima, insignificante, quindi mentre sei lì che fischietti il flauto magico devi pensare anche che non siamo tutti così, anzi, devi pensare che non siamo così, sennò rischi di crearti aspettative sbagliatissime, per onestà intellettuale avrebbero dovuto avvisarti che abbiamo anche gli enriqueiglesias e i gigidalessi, che ok che nel '77 ancora non c'erano, ma ci sono sempre stati, con altri nomi, altri sguardi da pesci lessi, altri ritornelli imbarazzanti, ma sono e sono stati molti molti molti di più dei quattro (quattro!) che ti abbiamo mandato.
Mi dispiace, non so quanti anni luce sarei disposta a farmi per sentire come suona Gould, ma, davvero, non è il caso, e non solo perché comunque saresti già in ritardo di più di trent'anni.

giovedì 7 luglio 2016

Il pilota automatico si è distratto

Quell'abituale mettere le chiavi di casa nella tasca destra della giacca è diventato, negli anni, appannaggio del mio pilota automatico, ma lui e io conduciamo vite separate, per cui raramente mi avvisa di aver svolto il proprio compito. Così sono parecchie le mattine in cui mi ritrovo sul pianerottolo a chiedermi oddio oddio oddio le chiavi, le ho in tasca o le ho lascia...?
Finora le ho sempre trovate, lì nella loro tasca, tutti i giorni. Così come, tutti i giorni, metto lo zucchero nel caffè senza pensarci, per poi chiedermi se sia successo davvero e se non stia per bere qualcosa di amarissimo.
Ci sono due azioni che non appartengono più, però, al tutti i giorni, ma che lo sono state per tanto tempo. Così tanto che, per distrazione o per stanchezza, capita che si insinuino ancora nel mio pilota automatico.
Una mi è successa proprio oggi, quando ho portato le mani al viso per togliermi quegli occhiali da vista che non porto più da anni. È come fare un passo pensando di avere uno scalino davanti, ma lo scalino non c'è, e il piede e la gamba e l'equilibrio per un attimo annaspano, così come le dita si sentono per un attimo smarrite nello stringersi attorno a degli occhiali che non ci sono.
L'altra è quando cerco il telefono per chiamarti.

mercoledì 29 giugno 2016

Il mio amico George (24)

"Aveva insistito perché dessi un'occhiata alla lista che, a suo parere, includeva la musica migliore che fosse uscita di recente. Erano i brani che ascoltava più volentieri, mi aveva detto."
Nel raccontarmi l'episodio, George si sofferma cercando di fare mente locale sui titoli che componevano quell'elenco. Non lo definirei certo presuntuoso, George. È solo lunatico. Sì, lunatico, e stravagante a tratti.
"Continuavo a ripetermi che dopotutto si trattava di una persona con più Marlboro in tasca che pensieri in testa. Eppure, nonostante questa evidente attenuante, ascoltando quella roba riuscii a pensare solo a due cose. La prima: era una fortuna che fossi da solo, nel momento in cui stavo passando in rassegna un'antologia così vuota e strampalata. La seconda: perché ci teneva così tanto a dare quell'immagine, di sé?, di uno che, emozionalmente parlando, vive quotidianamente al di sopra delle proprie possibilità?"

domenica 26 giugno 2016

Il gol di Jacopo

Dieci di mattina di un sabato come un altro, se non fosse che sto prendendo un treno che a buon diritto si definisce interregionale.
È importante, ogni tanto, chiudersi per un po' di tempo in un qualche mezzo pubblico a caso. Mica tanto per il Viaggio o per il significato che a esso si accompagna, nossignori. Piuttosto perché è un po' come andare allo zoo: si paga un biglietto, si entra, e si ha l'occasione di osservare comportamenti di esemplari faunistici ai quali sarebbe buona regola non gettare noccioline.

Se nei quattro posti adiacenti a quello che hai scelto si siede la più classica delle famiglie (madre, padre, ragazzina adolescente e bambino spannometricamente undicenne), fai fatica a prevedere immediatamente il livello di rumorosità che accompagnerà la prossima ora: potrebbe succedere tutto e il suo contrario. Non sono i quattro regazzetti indemoniati e portatori sani (?) di inutili urla, né il poker di cinquantenni ringalluzzite dalla gitarella del finesettimana. Quindi aspetti, un po' sospettosa, certo, e indecisa: sarà il caso di recuperare gli auricolari, o si può confidare nella buona sorte e tentare di evitarsi la fatica di cercarli, già sapendo che saranno sicuramente imbrigliati e seppelliti nel fondo più inaccessibile della borsa?
Ma la Pigrizia ha delle ragioni che la Ragione non può comprendere, quindi ciao auricolari.
Le cose si mettono bene: la ragazzina guarda fuori dal finestrino, tranquilla, e il bambino gioca col tablet, dai commenti che fa dev'essere concentrato su un videogioco di calcio. I genitori parlottano. Tutto regolare. Tutto sostenibile. Tutto ...
Suona un cellulare. È quello della madre.
E si rompe l'incantesimo.
Meucci, pover'uomo, avrebbe dovuto spiegare meglio l'essenza della propria invenzione più famosa, che non è tanto quella di poter parlare a distanza, ma piuttosto di poterlo fare come se questa distanza non ci fosse. In altri termini, col telefono viene meno l'esigenza di urlare. A me sembra una cosa geniale e fondamentale. Tanto fondamentale quanto, evidentemente, sconosciuta.
E così vengo a sapere che la mia involontaria compagnia di viaggio si è candidata alle recenti elezioni amministrative raccogliendo peraltro un numero di voti non irrilevante ma questo non significa certo che lei intenda togliere tempo al proprio lavoro nel quale è giusto dirlo le si stanno aprendo delle belle opportunità di carriera e di crescita professionale e per la prossima settimana sarà senz'altro necessario organizzare una riunione con Tizio e Caio perché prima non è stato possibile dato che la settimana scorsa era in ferie in Grecia però eventualmente già questa sera stessa ci si potrebbe incontrare anche solo per un aperitivo tanto comunque dovrà uscire di casa per accompagnare Jacopo alla festa di compleanno di una compagna di classe e prima senz'altro bisognerà riuscire a prenderle un regalo almeno per ...
"Gol!"
"Jacopo! Zitto! Non urlare che dai fastidio!"

Ecco. Avrei voluto, sinceramente, farmi carico di un'istanza difensiva nei confronti del povero Jacopo e della sua piccola manifestazione di entusiasmo, son quaranta minuti che è lì che spippola silenziosamente col tablet, ha fatto un gol, uno!, s'è silenziosamente impegnato, partendo dalle retrovie, con silenziosa tenacia e silenziosa umiltà, c'è riuscito, chissà il prossimo quando gli ricapita, e tu è da mezz'ora che berci e starnazzi... Ma in quel momento un bip sinistro ha fatto capire a tutti che la batteria di uno strumento elettronico era ormai scarica.
Se ci fosse una Giustizia, a tirare le cuoia avrebbe dovuto essere senz'altro la batteria del telefono della madre, che invece continuava indefessa a elargire energia.
Così, di fronte a un Tribunale tanto parziale, mi sono tenuta la mia arringa e ho raccattato gli auricolari.

giovedì 16 giugno 2016

Non sarò breve

Trascorri una settimana senza vedere una certa persona. Penso a una settimana, ma potrei dire anche un giorno, o due, o un mese, ma sì, va bene anche un mese. Trascorri questo tempo, dico, e capisci che rispondere a un generico come stai? si accompagna a momenti di comprensibile imbarazzo, mentre sei lì che cerchi una risposta plausibile, non troppo lunga, non troppo breve, e sensata, manco a dirlo, possibilmente sensata.
Il rischio aumenta terribilmente se non di una settimana o di un giorno o di un mese si tratta, ma di un anno e mezzo.
Daff sì è tolto agilmente dall'impasse, concedendosi solo pochi secondi di silenzio, prima di riconoscere che non sarebbe stato in grado di condensare tanto tempo in poche parole.

mercoledì 8 giugno 2016

To be titled

Le sue dita avrebbero percorso ancora innumerevoli tastiere, ma senza mai più farne uscire le note di quel brano.
Se l'era promesso anni prima, quando ancora si compiaceva nel sentirsi chiamare Maestro, e da quel giorno mai era venuto meno all'impegno preso. Quanti pianoforti avesse suonato, da allora, su quanti sentieri di ebano e avorio si fossero fatte strada le sue dita, forse egli stesso non sarebbe stato in grado di ricordarlo. Ciò che avrebbe ricordato, invece, era la dedizione con cui aveva evitato che quei percorsi bianchi e neri lo conducessero, magari approfittando di una sua piccola distrazione, a muoversi nuovamente sulle orme del brano che si era precluso.
Era dai tempi del conservatorio che non ritornava a Padova. Tutti, in famiglia, avevano camminato per quei corridoi dove risuonavano arpeggi, accordi e stonature: suo padre per primo, e poi suo fratello, diplomatosi proprio nell'anno del centenario. Era quindi toccato a lui, il più naturalmente dotato e scostante della famiglia, e a chiudere il cerchio Sara, sua sorella. Ma lui se n'era già andato a Torino, a farsi chiamare Maestro con una cadenza che un poco alla volta aveva imparato a sopportare.
Sbirciando oltre le tende della camera d'albergo vide un cielo tappezzato di nuvole che avevano tutta l'aria di voler mantenere le sinistre promesse di cui sembravano essersi fatte carico. Vide anche che in venticinque anni di assenza la sua città aveva avuto modo di farsi trovare diversa da come lui l'aveva lasciata, e lo sferragliare del tram che stava passando poco lontano gliene diede ulteriore conferma.

lunedì 23 maggio 2016

L'antimateria grigia

C'era quella cosa per cui se una particella e un'antiparticella vengono a contatto, si verifica un'annichilazione, e addio massa. E nell'ascoltare il dialogo tra le due tizie sedute al tavolino vicino al mio, avevo la sensazione che stesse accadendo qualcosa di simile tra le loro, evidentemente, materia e antimateria grigia. Era uno di quegli scambi di battute dove nessuno aggiunge alcunché di nuovo al già noto, ma ci si limita a riportare discorsi fatti da altri ad altri e riferiti da altri ancora, come se gli argomenti di cui parlare fossero irrimediabilmente terminati, e non ci restasse che scegliere tra ripetere quanto già sentito, o riferire il fatto che qualcuno ha già detto qualcosa. Addio massa, certo, ma in compenso quanta energia nel rendersi vicendevolmente partecipi del motivo per cui secondo Giulia le luivittòn taroccate sarebbero uguali, né più né meno, a quelle vere, quanta energia, dicevo, nel confidarsi che anche Serena pensa che su certi argomenti ognuno dovrebbe farsi gli affari propri, sì, Serena, proprio lei, che l'ultima volta che l'ho vista mi ha detto che...
Dall'altro tavolo, alla mia destra, mi trasmette maggior serenità addirittura il ciccione in doppiopetto e triplo mento mentre lo sento che ordina, dopo un'abbondante carbonara, un cappuccino.

mercoledì 27 aprile 2016

Se cominciassi a tremare

Se cominciassi a tremare e non avessi la febbre. Se cominciassi a tremare, dico, ma fossi in casa, al caldo, forse potresti concludere che la mia è paura. E la paura, lei sì, uccide la mente.

O forse potrei avere un semplice crampo.

mercoledì 20 aprile 2016

Fossi Pandora

L'apertura facilitata tende a essere l'ultimo particolare che noto, di una scatola o di una busta o di una qualsiasi cosa chiusa che necessiti di essere aperta.
Ho scritto cosa, ma forse il ragionamento può essere allargato.
Quantità di tempo ridicolmente esagerate passate a forzare un coperchio che coperchio non è, a cercare una linguetta, una discontinuità nella pellicola sigillante, una breccia nel cartone, un nastro adesivo smangiucchiato. E solo dopo aver fatto mille briciole e pezzetti informi di nylon che si appiccica dappertutto, solo dopo aver orribilmente slabbrato quello che avrebbe potuto benissimo essere riutilizzato come comodo contenitore, peraltro richiudibile nei pensieri del suo progettista, solo allora fa capolino, sprezzante, l'apertura facilitata.
Sì, ho scritto cosa, ma credo si tratti di un'inutile limitazione.

lunedì 28 marzo 2016

L'errore a metà

"Quando dico che difficilmente un errore lo si fa da soli" mi apostrofa George senza tanti preamboli,"non sto cercando il modo per rovesciare parte delle mie responsabilità su qualcun altro. Quando dico che spesso per commettere un errore è più facile essere in due, dovresti capire che sto tentando di assumermele, quelle responsabilità, che fino a ieri mi erano precluse."

mercoledì 23 marzo 2016

Né carne, né pesce, né tofu

Pare che quell'alpino del Rigoni Stern dicesse che la volgarità di un'idea si misura dal suo bisogno di proselitismo.
Che lui abbia o meno detto questa frase, non potrei dimostrarlo. Posso però condividerla.
Non sopporto il proselitismo, nemmeno (o soprattutto) quello fatto sul piatto dove sto mangiando. E invece ormai sembra che non si possa che essere o vegani fondamentalisti o carnivori sfegatati.
Evidentemente il caro vecchio ama e fa' ciò che vuoi non può essere applicato al campo alimentare, nossignori, i mangiacadaveri e le insulse caprette cercheranno di convincersi a vicenda della stupidità connaturata a una scelta che andrà necessariamente rivista il prima possibile.
Il Giusto sta nel mio tofu, o nella mia fiorentina, purché sia nel mio, manco fosse una guerra di religione.
Sabato ho risposto con l'acidità di un succo gastrico a un vegano che proponeva di distribuire volantini anti-carne per le case. Gli avrei risposto con la stessa cattiveria se avesse voluto distribuire volantini pro-bistecche.
Poi ho letto la frase di Rigoni Stern e ho dato una motivazione alla mia reazione poco accomodante.

PS: ho volontariamente ignorato i vegetariani, dal momento che credo che in questo clima estremo non abbiano più alcuna ragion d'essere, quasi fossero un'insulsa via di mezzo. Né carne, né pesce, se mi è consentita l'involontaria boutade.

lunedì 14 marzo 2016

Suonati stonati

Riusciva ad apparire arrogante già del modo di stare seduto.
Poi prese il telefono e cominciò, con un tono di voce inutilmente elevato, una lunga chiacchierata nella quale sottolineò almeno un paio di volte al proprio interlocutore la sicurezza con cui poteva esprimere un'opinione sull'argomento in questione.
Capirai, ho quarantacinque anni suonati, vorrei vedere se non...
E, sì, mi sarei volentieri alzata per avvicinarmi al suo sedile, gli avrei messo una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione e l'avrei invitato a interrompere la telefonata, solo per un minuto, una cosa veloce, giusto il tempo di spiegarmi come li aveva suonati, questi quarantacinque anni, se si trattava di quarantacinque anni suonati o stonati.
Ovviamente preferii rimanermene seduta, a guardare dal finestrino le onde che il vento disegnava sui campi lucidi di frumento verde.

giovedì 10 marzo 2016

Tutto come se nulla fosse

Un giorno, ero al mare, conobbi un professore di matematica, un tizio stravagante, non era sposato ma girava con la fede al dito perché così vengo lasciato in pace. Avrei voluto, ridendo forte, ribattere qualcosa che sgonfiasse un po' un ego così ingombrante, ma alla fine pensai che chissenefrega, se non era di ingombro a lui, non avrei certo dovuto essere io l'addetta all'ego altrui.
Non ricordo con che concatenazione di argomenti, arrivò a dirmi che passare da un problema al suo duale può essere vantaggioso, ma può anche non esserlo. Se il problema di partenza appartiene allo spazio di Hilbert, il duale sarà ancora nello spazio di Hilbert, così non guadagno né perdo nulla. E poi mi parlò, mi pare di ricordare, di una costante di difficoltà, così la chiamò, data dal prodotto tra le difficoltà di un problema e del suo duale.
Ma non so come si faccia a quantificare la difficoltà di certi problemi, e allora non so se abbia senso guardare ai bicchieri mezzo pieni dalla parte dell'acqua, così tranquilla e soddisfatta perché saldamente contenuta.

lunedì 22 febbraio 2016

George, i cavalli da corsa e il suonatore Jones

Stavamo chiacchierando senza impegno, George e io, di un libro di McCourt che Cinque mi regalò alcuni anni fa. Non eravamo ancora a metà della prima birra, quando George mi bloccò su una frase a cui è particolarmente affezionato: È permesso dire che vuoi bene a Dio, ai neonati e ai cavalli vincenti, ma tutto quello che non rientra in questi casi è segno che ti manca una rotella.
"Bene, dal dopoguerra irlandese al nostro adesso, mi chiese, pensi sia cambiato qualcosa? E soprattutto, non trovi che sarebbe corretto tanto l'aggiungere quanto il togliere voci alle tre categorie? Credi che sia più grave il non poter dire di amare qualcosa che non rientri nei tre casi, o piuttosto non è altrettanto doloroso il non potersi affrancare liberamente dalla triade, tutta o in parte? Non il denaro, né l'amore, né il cielo. I cavalli da corsa, i neonati, Dio."

lunedì 15 febbraio 2016

Carciofini stock exchange

Si tratta di luoghi che non ho mai frequentato, ma visto che la Madre di Tutte le Tossi ha evidentemente e unilateralmente deciso di svernarci, credo che i miei bronchi riservino panorami e vedute affascinanti. Tant'è, essendo io stufa di questa occupazione abusiva, ho deciso di giocarmi l'artiglieria pesante, accompagnata da brevi azioni di guerriglia sciropposa. E insomma ho scoperto che le scatole degli, appunto, sciroppi sono molto più interessanti da leggere delle confezioni dei corn flakes o dei barattoli di shampoo (con questo non sto suggerendo alcuna sostituzione, quindi declino ogni responsabilità nei confronti di coloro che decideranno di lavarsi i capelli con uno sciroppo). Per esempio stamattina ne ho cominciato uno che annovera tra i propri ingredienti l'aroma lampone, l'aroma crème caramel e l'aroma cherry brandy. Tuttinsiemeappassionatamente. Ora. Sordida perversione, non saprei come etichettare altrimenti la decisione di mescolare tre aromi del genere. Ma vabbè. Quest'altro che invece ho finito ieri sera di tracannarmi ha un atteggiamento un po' più saputello, e mi spiega che la N-acetilcisteina rilascia per deacetilazione la cisteina, un aminoacido fondamentale per la sintesi del glutatione. Cosa che a me fa estremamente piacere, ci mancherebbe, non sia mai che tale sforzo vada sprecato invano. Sennonché io non ho la più pallida idea di cosa faccia il glutatione, e allora mi ritrovo a zompettare tra una pagina di wikipedia e l'altra solo per non sentirmi in difetto rispetto alla scatola di un barattolo.
Barattolo il cui acquisito è stato pure fonte di pensieri.
Trovavomi al supermercato, decisa a sfruttare la comodità della farmacia interna, così da evitarmi un'ulteriore e umida dose di pioggia. Una fanciullesca e baldanzosa speranza mi convinse a dirigermi verso il banco dietro al quale una morbida signora sugli apparenti cinquant'anni e dai vaporosi capelli biondi si sarebbe senza'altro prodigata a servirmi con la dovuta solerzia.

Buonasera
(Senza staccare gli occhi dal monitor del PC) ...incredibile.
(Penso, un po' interdetta: No, mi creda, è solo un saluto. Sa, quei convenevoli di circostanza...)
Incredibile.
(Penso, mentre la mia interdizione si fa un pochino più insistente: Ne prendo atto. E non so se rammaricarmi o felicitarmi per l'episodio potentemente inverosimile evidentemente occorso. Vogliamo però prenderlo come scusa di comodo per porre fine all'inevitabile scorrere degli eventi?)


Finalmente sposta lo sguardo ed entro a far parte del suo campo visivo cosciente.
Mi chiede cosa stia cercando, le spiego, mi propone un paio di prodotti, breve richiesta di chiarimenti, occhei, prendo questo, ottimo, sì, mica come quell'altro, eh beh. Evidentemente però ci teneva tantissimo a spiegarmi cosa fosse incredibile, perché approfittando del tempo necessario per recuperare il lettore per il bancomat, guardandomi con occhi sconsolati, ma che tradivano un fondo di desiderio di vendetta, cominciò a raccontarmi che

È successo che un sacco di integratori, vitamine, sì insomma prodotti che costano anche più di 10 euro, siano stati venduti a 35 centesimi a causa di un errore nella lettura del codice. Beh, così imparano, tutti questi tecnici che stanno lì a fare i lettori dei codici.

Ammetto che non riuscivo a trovare una giustificazione per tanta acrimonia nei confronti di quei poveretti che...

Ma lo sai (aveva già preso a darmi del tu, ancora un po' e saremmo diventate migliori amiche) come venivano letti, alle casse? (Pausa a effetto...) Come carciofini!

Presa da un nuovo accesso di tosse, mi limitai a risponderle con fare preoccupato che le prossime statistiche sulla vendita dei carciofini vedranno un'erronea impennata.
E se il prezzo era di 35 centesimi, bisognerà trovare un'alternativa al caro vecchio Signora mia, ha visto a quanto stanno i carciofi oggigiorno?

domenica 7 febbraio 2016

Il peso(forma)

Passo a trovare i miei, e mentre sono in cucina che con mia mamma chiacchiero del più e del meno (ma anche di altre cose, in realtà) comincio a sfogliare distrattamente una rivista abbandonata sul tavolo. Niente di particolarmente interessante, continuo a girar pagine con scarsa convinzione fino a che non mi imbatto in un'intervista a Valeria Marini. Confesso che non l'ho letta, e questo per due motivi: (1) era decisamente troppo lunga, trovo inammissibile che una persona abbia così tante cose da dire; (2) c'era, riassunta in un breve trafiletto che ha monopolizzato la mia attenzione, la scheda tecnica della suddetta Valeria. Scheda tecnica evidentemente incompleta, dato che non riportava il numero di atmosfere da raggiungere per mantenere in forma quelle due cose tra il naso e il mento, ma vabbè. Si specificava invece l'altezza (un metro e ottanta) e il peso (cinquanta chili) e il... Aspetta. Stop. Rewind. Focus sui numeri. 1,80 m. 50 Kg. Risata. Incredulità. Risata.
La cosa finisce lì, riprendo a chiacchierare con mia mamma e ciao Valeria.
La cosa non finisce lì. Qualche giorno dopo il discorso si ripropone con Lamarta, che mi fa notare che "...guarda che non dicevano peso, ma pesoforma". Lamarta ha fatto il classico, quindi non solo si ricorda in scioltezza otto Muse su nove mentre io arranco a sette, ma nota anche questi dettagli linguistici e semantici. Io guardo i numeri e mi frego.
Però oggi, nel fare insieme un cruciverba, alla definizione Si tiene sotto l'ascella entrambe, lungi dal pensare al termometro, cercavamo stupidamente di incastrare baguette.
L'episodio mi ha rincuorata. Ora, evidentemente, non mi resta che riuscire a ricordare Melpomene ed Euterpe.

lunedì 1 febbraio 2016

The scent of open air

Me lo ricordo, quell'orologio, che ora mi mostri in una foto scattata in un attimo distratto. L'inseparabile struttura portante del polso, il tuo inconsapevole contenitore di parche. Quante volte l'avevo già visto, l'involontario dettaglio? Potrei contarle, renderle un disciplinato numero, consegnarle alla matematica, il tribunale del mondo. Strappare quei momenti dal loro contesto, renderli sequenza, ordine, asettica quantità.
Aspettando che si chiudano i passaggi della notte, ascolto gocciolii al di là della finestra.

giovedì 28 gennaio 2016

Il modo giusto

Mi spiegò che aveva scelto il modo sbagliato, per andarsene. Io poi, nel salutarlo, mi chiesi se esistesse il modo giusto. O se non ci stessimo tutti muovendo in un balletto di piccolissime, trascurabili variazioni sul tema dell'errore.



mercoledì 20 gennaio 2016

Predisposizioni

Ci sono dei momenti nei quali mi sembra di aver capito tutto, è come se diventassi padrona delle mie sensazioni, come quando si cerca invano di ricostruire il sogno della notte precedente, invano, sì, fino a che un accidente casuale non giunga a offrire il filo per ricostruire in modo limpido il concatenarsi degli eventi.
Poi, in modo altrettanto casuale, mi chiedi come sia andata. E senza volerlo mi riporti ad ammettere che non riesco a vivere pienamente ciò che ho, non vivo l'adesso, sai, mi perdo a pensare a quando non avrò più ciò di cui potrei godere ora.
Mi dici che sono predisposizioni.
Sorridi, e sorridendo capisci.

martedì 12 gennaio 2016

Il mio amico George (23)

"Sai", mi apostrofò domenica sera, davanti alla seconda rossa media, "è sul futuro remoto che mi incaglio. Mi manca l'immaginazione. A me. Non riesco, ci crederesti?, non mi riesce di immaginare niente di preferibile"

Dormi, che è meglio

"Sai quello strato di assuefazione che si forma sulla mente e sugli argomenti di certe persone, quelle alle quali ti avvicineresti per togliere loro la polvere dal volto... È simile a una cappa, come il silenzio che grava sopra a un'osservazione fatta a sproposito"

Dormi, che è meglio 

"Un oblio così profondo da raggiungere il mutamento"

Dormi, che è meglio così

lunedì 4 gennaio 2016

Bianco

Come se di colpo ci si trovasse tutti nella tacita e inquieta attesa di qualche cosa. In montagna no, è normale che ci sia. Ma non qui, e quelle poche volte che capita che imbianchi strade e tetti e campi, anche se per poco tempo, i suoni appaiono innaturalmente smorzati, la luce lisergica, l'atmosfera come avvolta per intero da una specie di trepidazione che toglie peso e forma.
Nell'attesa.