mercoledì 25 novembre 2015

Il mio amico George (22)

"Non trovi curioso che ci siano ancora dei creazionisti in giro?", mi apostrofò George qualche sera fa. Fui costretta ad ammettere che, sì, in effetti le prove che avvaloravano l'evoluzionismo erano senza dubbio...
"No no no, mia cara, non tanto per quello. Piuttosto, non trovi bizzarro che ci affascini immaginare il primo uomo vissuto? Non trovi invece più interessante pensare a cosa possa essere accaduto al primo uomo che abbia visto morirne un altro?"
Beh, mi colse di sorpresa, ma c'era da riconoscere che la questione poteva rivelarsi...
"Certo, anche qui ha poco senso pensare al primo, allo spartiacque, alla dicotomia tra precedente e successivo, ma a me piace lo stesso fantasticarci sopra. Pensa a cosa potrebbe aver significato rendersi conto per la prima volta che l'esserci era a tempo determinato, una vita ad interim. Un secondo prima non ti poni il problema, perché neanche sai che esista, e subito dopo sei costretto a far camminare in punta di piedi tutte le tue speranze e aspettative, perché la falla che si è aperta tra te e il per sempre non la richiudi più. Ci pensi che quel poveretto non aveva nemmeno Händel, per consolarsi?"

giovedì 19 novembre 2015

Ti faccio un esempio

Mi assicurò che si trattava solo una storia, ma era pur vero che egli stesso era una di quelle persone che hanno un assiduo bisogno di storie. Ed era la storia di una persona, mi disse, che avrebbe potuto essere un vecchio, una ragazza, un uomo, l'autore aveva deciso di rimanere vago a tal riguardo. Era una persona che, mi raccontò, con scarsa fantasia e ancor più scarsa originalità viveva circondata da altre persone. Quindi questa persona, proprio questa, come si sarebbe potuto distinguerla, non poteva forse venire confusa con le tante altre? No, si affrettò a spiegarmi, così non era, perché a quella persona, a quel vecchio o ragazza o uomo che fosse, mancava una cosa che tutti coloro che le stavano intorno invece avevano.
Ti faccio un esempio, mi disse, Così decise, e mi raccontò che il protagonista trascorreva i propri giorni con amici laureati, colleghi laureati, parenti laureati. Tutti laureati, tutti. O quasi. Egli no, non lo era. Ma sapeva che tutti ne erano a conoscenza, non ne aveva d'altronde mai fatto mistero con alcuno. E mi disse che il protagonista non poteva fare a meno di continuare a chiedersi cosa potessero pensare, gli altri, tutti gli altri, del suo essere vecchio, o ragazza, o uomo, senza quel titolo che gli altri, tutti gli altri, possedevano.
Mi assicurò che si trattava solo di una storia.

giovedì 12 novembre 2015

Dropping softly behind

Quando indossavo i miei indispensabili occhiali non sopportavo il suo modo di offuscarmi le lenti rendendomi tutto più complicato.
Quando portavo i capelli lunghi mi infastidiva la sua velocità nel vanificare il mio paziente lavoro di piastra e lacca.
Non riuscirò mai ad abituarmici, pensavo.
Sbagliavo.
Adesso lascio che si unisca, come un terzo, onirico elemento, al piacere di immaginare di perdermi e alla mia totale assenza di senso dell'orientamento. La nebbia. Silenziosa come un animale, sia esso preda o predatore, si allunga sinuosa lasciando che sia il proprio grigiore a insinuarsi dove le sembra più opportuno, dove ci siano vuoti da riempire.
Al mattino è un galleggiare di coppie di fanali rossi sui cavalcavia sospesi su volute grigie, mentre è muta l'armonia del giorno. La sera è la dolce ipnosi delle strisce bianche, unico e debole indizio su quale debba essere la strada del ritorno.
Come Prufrock, la lascio strofinarsi la schiena contro i vetri. Senza osare disturbare l'universo.

lunedì 9 novembre 2015

Una debita distanza

Avresti dovuto vederlo. Bastava a sé stesso, privo com'era di necessità, appagato dal proprio ridicolo domani. Forse era migliore di molte altre persone, tra le quali non esito a includermi, anzi, sicuramente era migliore di me, che oso presumere qualcosa di più, dal quotidiano.
Bastava a sé stesso, sì, ma in modo vano; avresti saputo capirlo dal modo con cui aveva arredato il proprio appartamento: dai quadri, ai libri, all'armadietto del bagno, ogni dettaglio avrebbe potuto confermartelo. Per quanto anche il modo con cui aveva arredato i propri pensieri la dicesse lunga.
Una debita distanza dall'inutile solitudine da cui non sarebbe mai riuscito ad affrancarsi, questa era la miglior strategia che avrei potuto suggerirti.

giovedì 5 novembre 2015

Risposte corrette a domande sbagliate

Era certo che tra gli insegnamenti incorretti che gli erano stati propinati fin da piccolo ci fosse quello secondo il quale non esisterebbero domande sbagliate. A onor del vero si rendeva pur conto che lo scopo era stato senz'altro nobile, un ammirevole tentativo di convincimento a essere curioso e a chiedere sempre il più possibile. Ma erano gli anni in cui stava imparando ad andare in bicicletta, e ogni volta che si trovava a perder l'equilibrio e finire malamente per terra si sentiva chiedere Oh, sei caduto?, e più che alle ginocchia e ai palmi sbucciati pensava a quella domanda che, sì, francamente gli sembrava alquanto sbagliata.
Poi era cresciuto, le cadute, quelle fisiche, si erano fatte via via meno frequenti, sostituite da altre di natura meno corporea. Ma anche qui, assieme al dolore contingente, pensava anche a quella domanda, a quell'inutile Oh, sei contento, adesso?, all'insulsa insensibilità che portava in dote, alla quale faceva fronte con un inossidabile controllo di sé.
Sempre che la marea delle paure notturne non sfondasse l'ultima paratia.