domenica 31 maggio 2015

La complicata dolcezza del signor Endon

Si era affacciato al balcone che dava sulla piazzetta dalla quale, a quell'ora della sera, provenivano rumori di conclusione e di inizio: quello secco e definitivo delle saracinesche dei negozi che venivano abbassate, quello promettente delle prime chiacchiere e risate di coloro che cominciavano, in piccoli gruppetti destinati ad allargarsi, a rendere vive le ore che lo separavano dal riposo notturno. Si era affacciato, il signor Endon, ma non aveva sentito le voci della gente, né le saracinesche, e men che meno la musica che, proveniente dai diversi locali aperti, si mescolava fondendosi in risultati e ritmi improbabili.
Non le aveva sentite, perché il signor Endon soffriva da anni di una malattia che, così gli era stato spiegato, spesso si accompagnava a esiti inevitabili. Si potrebbe, a questo punto, essere portati a immaginarlo come una persona fisicamente provata, magari con la schiena curva, le gambe deboli e il colorito giallognolo. Niente di tutto ciò. Lo si sarebbe, anzi, potuto senz'altro definire un bell'uomo, dal sorriso aperto e dall'occhio acuto, perché la malattia che lo affliggeva non si accompagnava ad alcunché di evidente: nessuna emorragia, nessuna menomazione o esantema.
Soffriva, il signor Endon, di malinconia. Una malinconia idiopatica, si potrebbe dire, dato che lo coglieva senza preavviso e nei momenti più dissimili. E in quei momenti non aveva alcun senso aggrapparsi alla pazienza, alla filosofia, alla capacità di riflettere. In quei momenti si poteva solo accettare la presenza silente di questa compagna di solitudine.
Non aveva sentito i rumori provenienti dalla piazza, il signor Endon, perché affacciandosi al balcone aveva visto che a occidente cominciava a diffondersi un barlume roseo. E tanto era bastato.

martedì 26 maggio 2015

Il mio amico George (18)

"In fondo, mi confida George, non ha più senso parlarne adesso. Era il classico tipo di persona, sai no?, di quelle che, solo con un'occhiata, sembrano volerti chiedere E oggi? Dico, cos'hai fatto, oggi, per giustificare la tua esistenza? Quelle persone sempre sul punto apparente di dare un giudizio severo, con un'espressione sul viso simile a un lievissimo fastidio, come potrebbe esserlo il fastidio di una divinità stanca, che spera il meglio dall'umanità, sapendo già in anticipo però quanto può aspettarsi, senza poter sperare di ottenere qualcosa in più.
Si sarebbe sentito perso, senza la sua solitudine. Credo che si sarebbe sentito solo. E quelli che da fuori sembravano pensieri così complessi, beh, mia cara, erano solo semplici debolezze, fragilità cristalline.
Ma non credo abbia senso parlarne, adesso".

venerdì 22 maggio 2015

Ti tolgo il sonno dagli occhi

Stavo passeggiando per le vie del centro, sbrigandomi per raggiungere il prima possibile la fermata del tram, dato che quelle che tappezzavano il cielo più che nuvole sembravano sinistre promesse sul punto di essere mantenute. Nell'aria elettrica si percepisce in modo particolare il desiderio di disintegrarsi in una nuvoletta di spire fosforescenti. O anche non fosforescenti, non farebbe alcuna differenza.
Forse era solo sonno, pensavo, forse avrei dovuto dormire di più, forse mi sarebbe servito togliermi il sonno dagli occhi.
Non mi piacciono i film di Bertolucci. Per carità, devo ammettere che ne ho visti solo tre, ma dopo quei tre ho realizzato che se avessi avuto di fronte il regista gli avrei fatto notare che gli avevo dedicato più o meno otto, otto!, ore della mia vita, e che a posteriori me ne stavo pentendo, ma chi me le avrebbe restituite, quelle otto ore? Ciononostante ero disposta a perdonarlo per una frase.
Una. Singola. Frase.
Ti tolgo il sonno dagli occhi, dice la protagonista di... Di uno dei tre film che ho visto, non ha importanza quale.
Me lo dico più o meno ogni mattina allo specchio, ti tolgo il sonno dagli occhi, ti tolgo il sonno dagli occhi, te lo tolgo, il sonno, e anche tutto il resto.
Stavo pensando a questo, mentre mi muovevo tra gli ombrelli che cominciavano ad aprirsi. A placare l'inquietudine del momento, come in un film, arrivò la musica di una fisarmonica, che suonava Speak softly love, e la suonava straordinariamente bene. Al diavolo il tram che avrei perso, al diavolo la pioggia che mi sarei presa, rimasi ad ascoltare l'uomo che la suonava fino a che non ebbe terminato il pezzo.
Al diavolo il sonno negli occhi.

mercoledì 20 maggio 2015

Punti di smarrimento

Da piccola mi spaventava l'idea di smarrirmi.
Ora non ho più quella paura, ma ho mantenuto, quella sì, la capacità di perdermi. Avere il senso dell'orientamento di una statua di sale mi aiuta, certo, ma a questo aggiungo una certa inclinazione all'autosuggestione: anche se sto percorrendo strade ormai familiari e quotidiane, basta che tolga la marcia e lasci andare i pensieri in folle, ripetendomi che no, quella curva non dovrebbe esserci e, no, quel negozio era da un'altra parte, qui non ci sei mai passata, mai passata, mai passata, e insistendo pazientemente contro le più naturali resistenze, riesco ad avere la sensazione di essermi persa.
Avere il tempo di perdersi, di girare senza scopo, tra vicoletti scelti a caso, confondendo la luce fragile che precede di poco il tramonto con quella morbida del primo mattino, girare, girare, perdersi, sentire senza ascoltare nulla Poi le spese andranno riviste con l'amministratore se si decide di Lascio la bici fuori dal cancello il tempo di Mia cugina si è sposata in marzo ed era Com'è andato il compito di greco Gli ho fatto capire che non sono il padrone ma solo Ha due anni, è ancora piccolo, ma riesce già a Scongelato il minestrone per stasera Ti ho già detto che non la conosco Dovrebbe arrivare tra tre minuti, perdersi, non pensare, togliere l'orologio, staccare il telefono, scegliere strade a caso, mancherebbe qualcuno che mi mettesse una benda sugli occhi e mi facesse girare, girare, girare su me stessa, come quando si giocava a mosca cieca, per dire addio anche agli ultimi punti di riferimento.
Perdersi.

martedì 19 maggio 2015

Toc toc

Credevo, una volta, di fare una cosa giusta nel riuscire a ridimensionare quelli che a prima vista potevano sembrare comportamenti sbagliati, errori commessi dalle persone attorno a me. Tutto andava rigorosamente pesato alla luce del sì ma prova a metterti nei suoi panni, tutto andava relativizzato cercando di immaginare cosa poteva aver pensato l'altro, cosa poteva aver spinto l'altro a comportarsi in quel determinato modo.
Mettersi nei panni di qualcun altro... Mah. Adesso ho la sensazione che sia fatica sprecata, e che alla fine si rischi di non stare nei panni né propri né altrui. Perché l'idea che la mente di qualcuno sia accessibile a quella di altri è spesso una ridicola finzione verbale, un modo elegante di prenderci in giro.
Già il fatto che ci si debba sforzare per cercare di sondare, di immedesimarsi nei pensieri di un'altra persona avrebbe dovuto suggerirmi che non si tratta di una cosa naturale, ma di un tentativo che alla fine distorce l'immagine che se ne riceve.
Una stupida ipotesi che fa sembrare plausibile una specie di scambio tra creature fondamentalmente estranee. Ma il più delle volte rimaniamo, in ultima analisi, insondabili.

venerdì 15 maggio 2015

Il bodyguard parzialmente illuminato

Uno degli episodi in cui avvertii forte fortissimo lo scarto, la differenza tra ciò che mi aspettavo e ciò che invece stava succedendo, accadde una decina di anni fa: a causa del solito accidentale concatenarsi di circostanze, conobbi un tizio che, senza che potessi fare qualcosa per evitarlo, si mise a raccontarmi di quella che a suo dire era stata l'esperienza della vita di cui andare più fiero. E non si trattava di un più fiero in senso relativo, ma piuttosto di uno straordinariamente fiero in senso assoluto.
Magari l'interlocutore di turno è portato a immaginare salvataggi di vite umane, riconoscimenti non inferiori al Pulitzer, raddrizzamenti delle curvature dello spazio tempo, ingestioni di dieci kebab in un'unica sera... No, niente di tutto questo. Ciò che più di ogni altra cosa alimentava generosamente il di lui narcisismo era l'aver avuto l'occasione di fare parte della sicurezza durante una manifestazione a cui era stato invitato Berlusconi. "Facevo parte della sua sicurezza, capisci?, del suo gruppo di guardie del corpo!"
Già.
Sentivo cespugli secchi rotolare nel ventoso deserto che rappresentava da un lato il mio interesse per l'episodio, dall'altro il giudizio velatamente ingeneroso che stavo costruendo sulla persona che avevo di fronte.
Eppure ripenso a questo episodio con una certa regolarità. Più o meno annuale. Quello era un giorno di primavera, le giornate si stavano facendo via via più luminose, dando l'impressione di stare allungandosi. Dovrebbe essere una cosa che mette allegria, voglia di fare, insomma, che instilla positività. E invece, senza che riuscissi a spiegarmene il motivo, l'ho sempre vissuta come una medaglia a due facce, dove il retro era rappresentato da un'ingiustificabile malinconia.
Senza particolari preamboli, il tizio con cui stavo parlando cambiò discorso e se ne uscì con un inaspettato: "Che belle le giornate più lunghe, vero? Però mi fanno anche stare un po' male, come se ci fosse troppa luce, troppo giorno. Come se non riuscissi a vivere tutte le ore che ci sono a disposizione".
Come se non si riuscisse a vivere abbastanza.
Così, dopo anni, continuo a pensare che anche coloro che a prima vista mi sembrano degli orologi fermi, due volte al giorno sanno segnare l'ora giusta.

giovedì 14 maggio 2015

Una favola raccontata a un idiota

Cerco rifugio nei dettagli, purché inutili.
Il numero di spire in cui si arrotola un ciuffo di capelli ricci, l'unirsi e staccarsi delle chiazze d'olio sul piatto dove c'era l'insalata.
L'assenza di ordine dei papaveri tra l'erba, le volute tracciate dal filtro di tè nell'acqua bollente della tazza.
Gli occhi di mare, l'aria elettrica di stasera, che minaccia pioggia.

martedì 12 maggio 2015

Il mio amico George (17)

Stavo per arrendermi ad andare a dormire, quando mi accorsi che il telefono, dal tavolo dove l'avevo appoggiato, vibrava con infinita minaccia e lieve ronzio. In realtà la minaccia non c'era, si trattava di George. Con lui funziona spesso che quando non c'è vorresti che ci fosse, e viceversa. Insomma, come con la maggior parte delle persone.
"Mia cara, meno male che non stavi dormendo, mi è venuta in mente una risposta alla tua domanda di giovedì scorso".
Mentre cercavo con scarso successo di ricordare cosa mai avessi potuto avergli chiesto il giovedì precedente, George già aveva cominciato a condurmi lungo quel sentiero, lastricato con la dialettica del peggior leguleio, che egli sa percorrere con amabile disinvoltura.
"È come correre, è come leggere. Per alcuni è necessario, qualcuno ci si diverte, qualcuno lo fa senza impegno. C'è chi ci sente dentro più serotonina che nella cioccolata, c'è chi lo fa per forza. E c'è chi decide di non farlo, piuttosto di uscire una domenica pomeriggio a farsi una corsa su un prato sarebbe disposto... Ricordi?, me l'avevi letta tu quella storia dove si parlava delle domeniche pomeriggio, col loro terribile senso di svogliatezza che comincia a instaurarsi verso le quindici, quando ci si rende conto di aver fatto tutti i bagni e le docce che era possibile fare, di aver fissato con aria vacua tutti gli articoli di giornale che era possibile fissare (evitando accuratamente di leggerne i contenuti), di non poter impedire alle lancette dell'orologio di avvicinarsi inesorabilmente alle sedici, a quel momento fatidico che segna l'inizio della lunga, tetra ora del tè dell'anima. Dicevo, c'è chi è disposto a passare un pomeriggio del genere, se l'alternativa è uscire a correre, perché stiamo parlando di persone che non amano correre. O leggere. O dipingere. O vivere. Non sono attività adatte a chiunque, rischiano di diventare un peso molto più gravoso di quel che si riuscirebbe a portare".
Mentre mi parlava, stavo guardandomi con aria distratta le linee sui palmi delle mani.
Dal mio silenzio capì che crollavo di sonno, così mi salutò, soddisfatto per aver messo un punto fermo sul mio vecchio punto interrogativo.


domenica 10 maggio 2015

Preferivo quando c'eri

Le giornate più lunghe, i vestiti più leggeri e in auto un cd con un vecchio concerto di Battiato, che tra le varie immagini dipinge una scena ben nota e vissuta (Con le sedie seduti per la strada, pantaloncini e canottiere, col caldo che faceva...)
Flash e saltelli della memoria alla casa rossa al mare, col sole che mi svegliava perché dalla finestra arrivava al mio letto e mi scaldava i piedi. Mi scottavo anche con quello...
Ogni finestra aveva i propri colori: dal piano terra il verde dei fichi e del prato con le nostre sdraio e l'angolo dove cucinavi il pesce per quattro, per sei, per dieci, quanto grande sapeva diventare il tavolo da pranzo? Dal primo piano il bianco e il rosa degli oleandri e i colori della gente che a piedi andava e veniva dalla spiaggia. Dal secondo, l'azzurro luminoso e mutevole del mare a un centinaio di metri da noi, oltre il bianco abbacinante del muro e il verde e argento delle tamerici. Dalla soffitta, una tavolozza, di tutto.
E la sera, seduti per la strada, sul muretto o sulle sedie, ovviamente tutte diverse, portandoci il pane per i gabbiani, mi dicevi di prenderlo dal cesto in cucina, anche se era quello per la colazione del mattino dopo e puntuale sarebbe arrivato il Chi si è preso tutto il pane?
Preferivo, sì, preferivo quando c'eri.

giovedì 7 maggio 2015

Prova tu a capire...

Il fascino ipnotico delle cose orribili.
Stasera, nello spogliatoio della palestra, mi sono ritrovata a fissare con sincero disgusto i piedi di una tizia che portava un paio di décolleté rosa leopardate, così brutte da risultare magnetiche. Altro che navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione.
Dovevo cercare un diversivo.

Secondo me tu sbagli come prendermi
dovresti confermare cosa vuoi 
Rido, tra giochi di luce e umorismo di bassa lega
Che cosa mai dirai non voglio crederti
che cosa penserai non voglio perderti
Sulla mia ingenuità hai costruito castelli di facile crollo

Il mio raggio di innocenza
nella mia invadenza
nella mia demenza
Sei candida carezza
e queste mie paure ti fanno paura
non guardarmi
ascoltarmi
Ogni giorno sempre più grande
ogni giorno il torto cammina striscia sulla mia schiena presto soffocherà
Il mio raggio di innocenza
nella mia debolezza
nella mia amarezza
caduca e rabbiosa vendetta verso scialba carezza vòlta a quello che fu


Così, per distrarmi da tanta incantatrice bruttezza, dato che il luogo era affollato, mi sono messa a giocare al cocktail party, cercando di mettere a fuoco stralci di conversazioni casuali senza prestare in realtà attenzione a nessuna in particolare.
Saltellando, come di mondo in mondo.



martedì 5 maggio 2015

Come in fondo sto facendo già da un po'

Mi divertiva studiare la fisiologia umana. Mi affascinavano certi meccanismi, certe finezze di cui ero evidentemente inconsapevole portatrice. I movimenti automatici appresi, per esempio, quelli che inizialmente richiedono volontà e concentrazione, ma che dopo svariate ripetizioni si automatizzano, diventano più facili ed eleganti, lo schema motorio procede per conto proprio e noi, nello svolgere quella particolare azione, possiamo concederci il lusso di concentrarci sui dettagli, o di non pensare a niente e lasciarci andare, o di immaginare obiettivi più alti rispetto a quelli iniziali. La volontà, se interviene, lo fa solo per interrompere qualcosa che in realtà potrebbe benissimo andare avanti da solo, facendoci risparmiare energia, delegando ai centri nervosi inferiori ciò che la corteccia può permettersi di ignorare.
Servono molte ripetizioni, ovviamente, prima che questo avvenga. Poi, un po' alla volta, l'abitudine smussa ciò che era nuovo, per quanto fosse impegnativo, nel bene o nel male, e ci fa accettare l'imprevisto, l'inaccettabile, l'innaturale (dubito che siamo stati progettati e ottimizzati per, che ne so?, andare in bicicletta, giusto per dirne una).
Nutro una singolare e innocua invidia per tutti coloro che sanno essere così serici nei confronti dell'inaspettato, coloro che sanno muovercisi dentro scivolando come agile seta, naturalizzandolo con arrendevole noncuranza.

lunedì 4 maggio 2015

Un po' di leggerezza. E di stupidità.

Ma ci ricordiamo l'età dell'adolescenza? Quella in cui la mia famiglia non mi capisce, i miei amici non mi capiscono, gli insegnanti non mi capiscono, da cui, con facile gioco induttivo, il mondo non mi capisce?
Ah, il mondo, sette miliardi e rotti di cervelli pensanti e compassionevoli, ma mentre scrivo chissà a quanto saremo arrivati. Per quel che mi riguarda, alla faccia dell'esegesi, della lettura critica e della traduzione dei testi sacri, sostituirei il "Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra" con un più adatto "Crescete, esponenziatevi e ci si vede".
Dicevo, sette miliardi e rotti di cervelli pensanti e compassionevoli... Ok, magari non tutti e sette i miliardi. Magari un po' meno... Diciamo un paio di centinaia di cervelli? Facciamo anche un migliaio, via.
Ora, è noto che qualsiasi numero finito diviso per l'infinito dà un risultato così vicino allo zero da essere praticamente zero. Qui però non si parla di infinito ma di sette miliardi in aumento, un numero a nove zeri che cresce esponenzialmente. Non sarebbe quindi lecito affermare che qualsiasi persona pensante e compassionevole si incontri, di tanto in tanto, sia solo il frutto di un'immaginazione malata, o al limite di un'immaginazione pensante e compassionevole?

domenica 3 maggio 2015

Poor Ozzy

Una persona a caso, in questo caso io, trascorre mesi, magari addirittura anni, pensando che Ozzy Osbourne cantasse ti limitasti ad andartene, quando ti implorai di restare. La frase fila sotto tutti i punti di vista, grammaticale, lessicale, semantico. E poi quella persona a caso si rende conto che non era un left, ma un laughed. Così una frase che già era amara in partenza, diventa ancor più orrenda, perché ti limitasti a ridere, quando ti implorai di restare. A ridere. Ma che gente frequentava quell'uomo? Passi che si sniffasse le formiche, ma bazzicare individui che...
Mah. Sono arrivata alla conclusione che quella persona a caso dovrebbe evitare di affinare il proprio inglese.
Era meglio la versione sbagliata. Edulcorata. Mia.