giovedì 29 gennaio 2015

Una indefinita incompiutezza

I giorni a venire gli sembreranno confusi, un turbinio di ricordi passati e futuri, colori e persone e una vaga, fortuita sensazione di stordimento.
Sarà un piccolo obolo da pagare per i giudizi, le analisi, i consigli non richiesti o richiesti e non dati, per aver provato a dipanare un'emotività da ignorare, con la quale non era il caso di immischiarsi.
L'impazienza, l'ansia di vedere profilarsi un traguardo verso cui correre madido di sudore, gli avevano fatto perdere la consapevolezza della gioia di un lento svolgersi, spiegarsi, della indefinita incompiutezza.

lunedì 26 gennaio 2015

L'uomo che non deve chiedere mai

Più o meno innumerevoli e gravi sono le mancanze che sarei disposta a perdonare a qualcuno che sia in grado di farmi ridere, dai quadri appesi storti fino all'arbre magique alla vaniglia. A meno che...
A meno che non si stia parlando di una categoria di persone che mi inducono alla risata, loro malgrado, con la loro semplice apparenza. Chi sono costoro?
Stasera ero in palestra. Mi sono iscritta la settimana scorsa, scegliendo uno di quei pacchetti che vengono spacciati come davvero convenienti e imperdibili e con i quali si hanno in omaggio due e dico due lezioni con un personal trainer. Imperdibile. Conveniente. Entusiasmo.
E vabbè, insomma, io odio fare sala, star lì a guardare il timer di un tapis roulant che scorre o a ...dodici... contare quanti ...tredici... piegamenti ho fatto ...ero a dodici o a otto? non mi esalta e credo non mi esalterà mai. Ma se c'ho 'ste due ore da fare col personal trainer, crepi la pigrizia, facciamole, sia mai che stavolta mi piglio bene e scopro il mio lato di criceto che si diverte a correre dentro la ruota.
Ecco. Sto per rispondere al Chi sono costoro? temporaneamente lasciato in sospeso.
Mi si para davanti un tipo grosso, ma grosso grosso, ma grosso nel senso di gonfio, di quelli fatti a triangolo capovolto (sia che li si guardi di fronte, sia che li si guardi di profilo), e poveretto, lui non lo poteva mica sapere che io sono cresciuta a pane e tanti, tanti, ma tanti luoghi comuni: lo so che è un ragionamento estremamente meschino e provinciale quello che spinge a pensare che la somma dei volumi del cervello e dei bicipiti brachiali sia una costante, ma non riesco a impedire alla mie testolina di formularlo ogni volta che vedo maniche corte con le cuciture disperatamente straziate e sull'orlo della lacerazione, ostentate con una sicurezza che... che...
Che a me instilla tanta voglia di ridere.
E, accidenti a me, un sentito facepalm.

domenica 18 gennaio 2015

Avevo ancora quella foto

Alcune idee, alcuni pensieri, alcune persone, alcuni pensieri di persone, sono come la battigia, non fanno in tempo ad asciugarsi, a scomparire, che arriva l'onda successiva a rinnovare una situazione che sembrava spenta, risolta, conclusa.
Un pezzo di spiaggia mai definitivamente bagnata, mai definitivamente asciutta.

martedì 13 gennaio 2015

E lei, che ne pensa?

Per cercare di superare gli esiti alterni del proprio recente passato, e con essi le amarezze da poco vissute, cominciò a chiedersi perché il giudizio sulla bellezza di un qualsiasi oggetto fosse degno di essere ascoltato quando pronunciato da taluni, e fosse invece ritenuto irrilevante quando espresso da altri.
Cosa avranno mai, si domandava, certe persone, in cosa si distinguono, quali sono gli artifici che adottano per far sì che il loro parere sia non solo meritevole di ascolto, ma addirittura innalzato a regola estetica.
Ma chi erano, poi, coloro i quali giudicavano autorevoli solo alcune opinioni, cestinandone altre? Erano forse quegli stessi che le formulavano? Era un circolo autoalimentato dal quale, una volta entrati, sarebbe stato difficile farsi escludere?
Decise quindi di adoperare, come risposta passepartout per chi le chiedesse un punto di vista su qualcosa, un sibillino ho visto di meglio. Pronunciato con la giusta dose di ironia, avrebbe significato che raramente aveva visto di peggio. Pronunciato, viceversa, seriamente, avrebbe concesso un margine di tollerabilità all'oggetto in questione.
La definizione dell'ampiezza di tale margine sarebbe stata lasciata alla buona disposizione dell'interlocutore.

giovedì 8 gennaio 2015

Centomilaecinquecento battiti per unità di tempo

Credevo anch'io, un tempo, che la vita della persona puntuale fosse un inferno di immeritate solitudini. Ero sempre molto precisa, il più delle volte in anticipo, ma mi innervosiva aspettare, cosa che mi trovavo a dover fare molto di frequente.
Ora forse sono diventata un po' meno rigorosa nell'osservare gli orari, lo ammetto, però, quando si verificano, apprezzo le piccole solitudini.

Ho spesso un libro con me, mi capita di aspettarti leggendolo, e se tardi ad arrivare quasi non me ne accorgo.

martedì 6 gennaio 2015

Private (5.1)

Segue da qui

Alla fine si decise: non doveva certo rendere conto delle proprie scelte né a Sergio, il commesso, per sincero che fosse stato, né a chiunque altro. Si sfilò quindi quell'abito, non più con sveltezza trafelata, quasi fosse incandescente, ma adagio, attenta a non gualcirlo. Perché infatti avrebbe dovuto rischiare di rovinarlo, bello com'era? Prima abbassò, lentamente, la zip lungo la schiena. Sfilò il braccio destro dalla manica, quindi il sinistro. A ogni movimento le sembrava che l'aria diventasse meno rarefatta, come se i suoi polmoni... E, santo cielo!, proprio lei, abituata a imbastire con disinvoltura e candore le menzogne più adatte ai propri scopi, proprio lei si faceva problemi a inventarsi un motivo per non comprare quel vestito? Quante scuse avrebbe saputo inventare? Per esempio, ne avrebbe avuto uno simile. Oppure le avrebbe ricordato un abito della sua insegnante al conservatorio. Oppure semplicemente non se lo sarebbe sentita confortevole. Oppure... Oppure...
Aprì la porta del camerino nell'istante in cui sentì Sergio salutare per nome suo marito. Quel ragazzo aveva una formidabile capacità di ricordare volti e persone: era indubbio che lei fosse una cliente più che abituale di quella boutique, ma per quanto si sforzasse di ricordare, non le sembrava che suo marito l'avesse mai accompagnata a scegliere qualcosa, se non per il compleanno di lei di due, forse tre anni prima.
"Non quello che hai in mano, vero?", si limitò a chiederle suo marito, appena la vide.
Non solo la domanda era una di quelle per le quali la risposta dovrebbe essere estremamente facile, ma in più le stava offrendo un insperato aiuto per liberarsi da una situazione in cui non avrebbe voluto trovarsi. Eppure non una parola le uscì di bocca, come se l'aria fosse diventata, di nuovo, terribilmente rarefatta. Come se qualcuno avesse inondato il negozio, e lei adesso si trovasse con l'acqua alla gola e con delle cavigliere di cemento. Non capiva perché lui fosse lì, non poteva... Sì, poteva saperlo, d'altronde nel salutarlo, meno di un'ora prima, gli aveva detto dove sarebbe andata, ma non pensava che...
"Non quello che hai in mano, vero?", ripeté suo marito. Questa volta la voce, prima quasi spietata nel tono distaccato, tradì una vibrazione di tenerezza.
"Ti soffocherebbe. Non ne sto mettendo in dubbio la raffinatezza e l'eleganza", aggiunse, stavolta rivolgendosi direttamente a Sergio, come a evitare sul nascere qualsiasi tipo di obiezione, "ma... Mettilo giù, te ne prego. Non saresti tu".
E di colpo tutta l'acqua sparì, come se lei stesse riaffiorando.


Fu LaPeggiore a consigliarmi di allontanarmi,
dall'isola,
per vedere quanto non fosse che un'isola.

venerdì 2 gennaio 2015

Un quadro (astrologico) storto

Ci sono argomenti in cui considero motivo di onore e vanto riconoscermi ignorante. Non sarei in grado di intrattenere un eventuale interlocutore che volesse parlare, per esempio, di cantanti neomelodici, o di matrimoni tra VIP contemporanei, oh di...
O di astrologia.

Leggiucchiando qua e là come amo fare, quasi stessi spiluccando dei chicchi d'uva, ho scoperto l'esistenza di un'imposta che veniva applicata ad Alessandria d'Egitto in età ellenistica: il blakennomio. Trattavasi di, per l'appunto, un'imposta rivolta alle tasche degli astrologi, i quali si dava per scontato che ricavassero i propri introiti per lo più grazie alla stupidità dei loro clienti (da cui il significato del nome dell'imposta, ossia tassa sulla stupidità).
Magari la mia è solo patetica invidia, magari sono la volpe che giudica l'uva acerba, chissà, magari vorrei fortissimamente padroneggiare l'argomento con la disinvoltura di un astrologo professionista, mi si conceda il paradosso, la realtà è che a chi mi chiedesse una descrizione di me in termini astrologici, beh non saprei andare oltre al mio segno zodiacale. Leone.
O meglio, a dirla  tutta qualcosa in più la so: sono cuspide, essendo nata nel primo giorno del Leone. Questo cosa significa? Che porto i segni degli strascici del precedente Cancro? Non lo so. So però che due persone, in due momenti diversi, vollero calcolarmi l'ascendente (che non so cosa sia ma devo ammettere che ha un bel nome, un bel nome motivante), ma una mi disse Capricorno e l'altra Acquario. Sgomento. A chi devo ascendere, quindi?

Un giorno mi capitò di sentire una tizia dire a un'amica che il comune conoscente nome-del-comune-conoscente era particolarmente aggettivo-che-non-ricordo, ma d'altronde c'era ben poco di cui stupirsi, dato che la persona in questione era un Acquario ascendente Acquario.
Che invidia. Che sicurezza. E che coerenza. Acquario ascendente Acquario. E io qui, invece, che ogni mattina mi sveglio, e in quanto Leone penso che dovrò rincorrere una gazzella, per poi chiedermi dove mai potrei trovarla, una gazzella, nella bassa padana, e il mio lato pigro mi ricorda che forse sarebbe più comodo sfruttare il mio essere in parte Cancro, e finire con lo starmene lì, chimerica, astrologica creatura, poco amante degli acquari (che associo alle anticamere dei dentisti) e consapevole dell'inesistenza dei capricorni.