sabato 29 novembre 2014

Le piccole oscillazioni del pendolare

Le studiarono, tra gli altri, Huygens e Galileo, tanto per inquadrare l'importanza delle piccole oscillazioni di un pendolo, e di tutti i fenomeni che le accompagnano. E io me li vedo, questi parrucconi secenteschi (sia detto con rispetto, ammirazione e bordate di invidia), che osservano il povero pendolo che non solo non ha requie e non può decidere a che tratto dell'escursione appartenere di più, ma non può nemmeno avere la soddisfazione di farsi un bel giro adrenalinico.
Solo. Piccole. Sfibranti. Oscillazioni.
Come un, per l'appunto, pendolare che si muova tra due regioni distanti, sì, ma non troppo, non oltre quel limite che gli farebbe decidere di spostarsi in una delle due zone tra le quali continuerà invece a fare la spola. Come qualcuno che stia a volte un po' bene, altre volte un po' male, ma non troppo, non oltre quel limite che gli farebbe decidere di assestarsi in modo definitivo in una delle due condizioni tra le quali continuerà invece a fare la spola.

mercoledì 26 novembre 2014

E allora?

Mi fanno sorridere le persone che, quando il tempo fa schifo, se la prendono con, per l'appunto, il tempo, come se fosse colpa sua. Sua di chi, poi? Del tempo... Un po' come la montagna maledetta che si porta via una manciata di scalatori, o gli sciagurati flutti che si ingoiano un paio di surfisti, o... Vogliamo farci tutti animisti?, potrebbe essere un simpatico diversivo. Perché altrimenti, in linea generale, quando il tempo fa schifo o una montagna è impervia o il mare è agitato, beh, in linea generale non è colpa di nessuno. È come se nelle situazioni macro ci servisse il responsabile, quando poi nel micro è una gara a nascondere la testa sotto la sabbia, a le cose sono andate così perché dovevano andare così, non serve cercare un motivo. Personalmente credo di essere abbastanza in gamba, a volte mi alleno anche contro me stessa, e ormai penso che il proverbiale struzzo avrebbe solo da imparare.
Ma come mi disse un giorno un mio amico, non è il massimo poi guardarsi indietro e pensare E allora?della propria vita.

Sul palco del concerto che sono andata a sentire sabato scorso era stato montato uno schermo su cui si susseguivano immagini e video che facessero da accompagnamento alle canzoni in scaletta. Verso la fine è stata proiettata la superficie del Sole, un brulichio di radiazioni elettromagnetiche, neutrini e abbondanti scoppiettii adatti a una palla di plasma degna di questo nome. E ho pensato che, di fronte a tutta quell'infinità di energia, è inevitabile guardarsi indietro e pensare E allora?

domenica 23 novembre 2014

Il mio amico George (10)

"Ti sembrerà che stia usando toni immotivatamente onirici", mi disse George alcuni giorni fa, rilassato sul divano, lo sguardo perso fuori dalla finestra, nonostante fosse già buio. "Potresti avere ragione, forse sono un tantino visionari e drammatici, ma ti assicuro che la sensazione era che nonostante credessi di stare seguendo un cammino che avrebbe dovuto farmi allontanare, beh, la sensazione era che non avrei potuto sceglierne uno che più di quello finisse per portarmi ancora più vicino al punto di partenza. E a bloccarmi, impedendomi di allontanarmi, era proprio l'idea di partire lasciando il resto alle spalle. Come se solo chi fosse già felice potesse allontanarsi, ma di rimando solo coloro che fossero già lontani potessero essere felici. Hai presente quando devi far alzare una mongolfiera...". Qui avrei voluto interromperlo per fargli notare che no, non avevo mai avuto esperienza diretta e quindi non potevo vantarmi di avere presente. Ad ogni modo, lo lasciai proseguire.
"Una sorta di tacita follia di sottofondo, che affiorava solo in brevi istanti di amabilmente sgradevole discontrollo, mi appesantiva. Ora è come se avessi slegato dalla mongolfiera i sacchi di sabbia, di dolore, di ricordi".
Si riscosse, riportando lo sguardo dentro la stanza.
Di lì a non molto se ne sarebbe andato.

lunedì 17 novembre 2014

La natura dello scorpione

Non ci sono grandi margini, almeno a voler credere alla storiella della rana e dello scorpione: quest'ultimo non poteva, magari avrebbe anche voluto, ma non poteva fare a meno, non poteva fare a meno di pungere il povero anfibio che lo stava traghettando di là dal lago. D'altronde era nella sua natura. Risultato? Entrambi che tirano le cuoia, uno scenario il cui equivalente non si sarebbe ipotizzato neanche a studiare il worst case di un algoritmo informatico.
Non ci sono grandi margini, continuerò a voler discutere per poter avere ragione, anche se poi, in fondo, che me ne faccio, di quella ragione?, paradossalmente il dubbio sa indossare gli abiti di un confortevole tepore, molto più di quanto non sappia farlo l'evidenza. Dovrei quindi imparare a evitarla, la ragione, e i rischi che la accompagnano.
Non ci sono margini, continuerò a pensare che il parlare riesca a dare tinte alle emozioni, riesca a rivestirle di drappi dai colori a volte pastello, a volte psichedelici. Credo sia nella mia natura.
Ci vuole impegno per essere la rana e lo scorpione di se stessi.

mercoledì 12 novembre 2014

Un bozzetto mal riuscito

Molto abile nel riuscire a evitarsi il rischio della scelta, più fantasioso che intelligente, particolarmente talentuoso nell'inventare situazioni e racconti ricchi di quelle sottili arguzie che facevano della sua presenza un piacevole riempitivo temporaneo. Non era certo un vaso di terracotta che viaggiasse in mezzo a soli vasi di ferro: era piuttosto un vaso come tutti gli altri. Benché, all'apparenza, lui si ritenesse migliore.

martedì 11 novembre 2014

Articoli da regalo

Gli articoli a cui faccio riferimento sono quelli determinativi, in particolare il femminile singolare che in linea teorica dovrebbe precedere l'aggettivo prossima riferito al sostantivo settimana. So che si tratta di una battaglia persa in partenza, ma ogni lotta degna di questo nome necessita di una spolverata di idealismo.
A conoscere uno psichiatra gli chiederei perché tutto questo fastidio (intendo fastidio fisico, intendo implosione di cattiveria, intendo mani che si irrigidiscono) quando sento frasi del tipo questa cosa la vedremo settimana prossima, dio!, mi precipiterei a scagliare vasi dal balcone senza neanche prima chiedere alcunché alle piante in questione, nemmeno se avrebbero preferito più o meno acqua. E questa volta non mi si può neanche obiettare che sono la solita retrograda ancorata a una lingua fatta di congiuntivi e concordanze e che se fosse per me si tornerebbe a parlare in latino.
In latino gli articoli non c'erano, e io a quel "la" ci terrei parecchio.

domenica 9 novembre 2014

Do not go beyond the line, please

Salgo in treno un po' di corsa, sono in ritardo, ormai i posti sono quasi tutti occupati. Ne vedo uno libero in fondo e mi ci siedo senza troppi complimenti, e senza far caso alle facce di chi è seduto lì attorno. Mentre mi tolgo gli occhiali da sole e prendo il libro dalla borsa, la ragazza di fronte a me alza lo sguardo dal proprio, di libro. Mi accorgo che è Lisa. Non siamo amiche, solo ci conosciamo di sfuggita, quattro chiacchiere al volo quando ci si trova per caso. Anche tu qui, da quanto tempo, come stai?, e tu?, una corsa, appena in tempo, cosa leggi?, non conosco, un po' impegnativo, tu invece?, ah interessante, bello, me lo segno, ne ho tanti in lista, a chi lo dici.
Fine.
Lei riprende a leggere. Io la imito. A pochi minuti dalla nostra fermata (scendiamo alla stessa stazione) ciascuna chiude il proprio libro e riprende coscienza della realtà. E il lavoro nuovo?, bene, più tempo libero, un'altra vita, vuoi un passaggio a casa?, grazie, ho la macchina qui dietro, stammi bene, anche tu.
Amo la rassicurante presenza delle persone che non ci tengono a voler a tutti i costi oltrepassare la soglia della conoscenza superficiale.

giovedì 6 novembre 2014

Un bilancio color Lindor

Dato che le settimane a venire mi scivoleranno via sfinendomi come solo le domande senza risposta sfiniscono, so già che mi troverò a Natale senza rendermene conto. Probabilmente non ha molto senso pensare al Natale adesso, ma sto adottando la tattica dell'accoppiata "lasciar girare il cervello a vuoto" e "scrivere cosa è stato prodotto dall'aver lasciato girare il cervello a vuoto", perché è una delle poche attività che mi rilassano quando sento che l'ansia sale tipo conato di vomito. E quindi riflettevo, anche se in modo tutto sommato vago, sul Natale, e sulle cose che gli si accompagnano e che non sopporto. In primis i Lindor. Sono bellissimi, certo, mi riempirei casa di tutte queste perfette e luccicanti palline colorate; quanto però a scartarne e mangiarne uno, ahimè, questo è un ostacolo che non mi sento di affrontare. In conclusione, non mi piacciono i Lindor. Non mi piacciono neanche i buoni propositi per l'anno a venire, e men che meno i bilanci da farsi sull'anno che si chiude. Bilanci... La settimana scorsa Pibi mi ha chiesto se ho preparato un foglio excel a due colonne, una per i pro e una per i contro del mio cambiare lavoro / casa / città. Ovviamente un'idea del genere non mi era passata nemmeno lontanamente per la testa, e dopo che lui me l'ha formulata l'ho vista allontanarsi, se possibile, ancora di più. Bilanci? Mio dio!, passo gli anni nel tentativo (per il momento riuscito) di coltivare la mia capacità di invecchiare senza diventare adulta, e mi si chiedono bilanci... Non cerco alcuna forma di sovradeterminazione per il mio comportamento, non mi interessa sapere se e perché mi comporti così, semplicemente i bilanci non li faccio, piuttosto ostinatamente li ignoro, evitandomi il rischio di accorgermi che a volte faccio scelte suscettibili di miglioramento.

mercoledì 5 novembre 2014

Radical cheap

Se vogliamo parlare di cervelli ben organizzati, che mantengono traccia solo delle informazioni utili per affrontare con disinvoltura il vivere quotidiano, cestinando tutto il superfluo, io purtroppo devo fare un passo indietro e lasciare la parola a qualcun altro. Sì perché i ricordi che popolano i miei neuroni, anche al netto dei testi completi delle sigle dei cartoni animati e de La Solitudine della Pausini, contemplano davvero episodi e fatti di indubbia inutilità. Oggi, per esempio, mi è tornata in mente una puntata di una trasmissione della De Gregorio che avevo visto dai miei genitori durante le scorse vacanze di Natale. Fortunatamente non credo di avere spazio cerebrale, per lo meno conscio, occupato da dettagli tipo chi fosse l'ospite invitato, il titolo del libro che stava presentando, il nome della trasmissione e altre simili amenità. Ciò che mi è rimasto impresso è un pezzo di dialogo. Ricordo che si parlava delle meraviglie della mente umana (brivido...), e che il tizio in studio mi dava l'idea di uno che avesse preso la laurea in qualcosa al CEPU studiando su Focus. Giusto per non essere classista. Insomma, vengo al dialogo: lo "scienziato" se ne uscì con un Il cervello è un litro e mezzo, ed è dieci alla undici neuroni... E la voce si abbassò a un inintelligibile bofonchio.
Già che uno mi venga a dire che il cervello è dieci alla undici neuroni... Vabbe', transeat. La cosa ancor più raccapricciante però fu la reazione della De Gregorio: con gli occhioni sgranati di uno che avesse appena avuto una rivelazione epocale o poco meno, pose una (per me) infelicissima domanda:
- Un litro e mezzo è dieci alla undici?
- No, un cervello occupa circa un litro e mezzo, e ha dieci alla undici neuroni. Che è anche il numero delle stelle...
- ...c'è da chiedersi se sia un caso...
Questo passaggio, che causò violente reazioni da parte del mio apparato gastro intestinale, ecco, io vorrei poterlo dimenticare. Ma siccome noto che non ci riesco, allora minimizzo i danni, e lo associo a qualcosa di divertente. Tipo a quella volta che, durante la lezione di elettronica, il professore cancellò malamente la lavagna e ciò che ne rimase fu un misterioso 2 V = 3 A, alla vista del quale alcuni tra quelli di noi studenti che avevano perso qualche passaggio si chiesero quale strano postulato fosse quello che stabiliva l'uguaglianza tra due Volt e tre Ampere.
Due volt sono uguali a tre ampere... C'è da chiedersi se sia un caso.

domenica 2 novembre 2014

Una qualità durevole

Per non rischiare di fare brutte figure a causa di un uso poco preciso delle parole, si può scegliere tra almeno due alternative: o studiarsi bene l'etimologia dei termini che si intendono adoperare, oppure non usarli. Oggi ho scelto la seconda strada, e mi sono evitata un imbarazzante scivolone.
Il treno su cui viaggiavo stava lentamente entrando nella stazione di Mestre. Il binario su cui saremmo arrivati sarebbe stato il numero cinque, il che può apparire come un particolare irrilevante e trascurabile ma, al contrario, si rivelerà essere fondamentale. Vicino a me, pronta a scendere per poi prendere, dopo quindici minuti di attesa, la coincidenza per Trieste, una signora. Benché costei, durante i precedenti minuti di viaggio, avesse dato modo di apparire come una persona tutto sommato tranquilla, mano a mano che Mestre si avvicinava riusciva sempre meno a nascondere l'aria concitata con cui manifestava al marito tutta la propria speranza che in treno arrivasse al binario sei, così siamo sicuri di prendere l'altro con calma, senza fare le corse, il controllore ha detto che lo dovremo prendere al cinque.
Per carità, non dubito che il concetto di calma sia soggettivo, ma quindici minuti per scendere da un treno e prenderne un altro, in stazione a Mestre (che, a beneficio di coloro che non ne fossero informati, non è esattamente come il Charles de Gaulle a Parigi, giusto per rimanere sul Continente), a meno di ritardi (che non avevamo) lasciano in genere il tempo per farsi pure un mezzo sudoku sul binario.
Sia come sia, la signora era agitata. Puntava tutto sullo scendere al binario sei, per poi salire dopo poco su un treno sul cinque. Scendere al sei, salire al cinque. Sei, cinque. Sei, cinque, facile, sei, cinque, il treno rallenta sei i freni fischiano cinque, sei le porte si aprono cinque e si sente la voce degli altoparlanti sei confermare che il nostro treno arriverà cinque al binario cinque, bene!, ma noi, dico, noi, su che binario saremo?
Suspence.
Siamo sul cinque.
Sgomento.
"Ma... Ma com'è possibile che questo arrivi al cinque e che poi il prossimo passi sul cinque?"
Ed è stato in quel preciso momento che avrei voluto chiederle se gentilmente non volesse usarmi la cortesia di piantarla di essere stupida. Ma poi stasera vengo a scoprire che il suffisso -idus era usato in latino per quegli aggettivi che indicassero una qualità durevole. Pertanto la signora di cui sopra avrebbe potuto a buon diritto rispondermi che per motivi etimologici non avrebbe mai potuto "piantarla di essere stupida". E mi sarebbe toccato pure darle ragione.