martedì 25 febbraio 2014

But it's bad, and it's sad, and it's making me mad - Private (7)

Faccio collezione di undici, ne tengo una scatola zeppa sotto il letto. Così stipata che ogni tanto qualcuno di notte scappa fuori e, la mattina dopo, me lo ritrovo sul pavimento, a fianco del comodino. Oppure arrampicato sulle coperte, o appollaiato sul mio sterno.
Fortunatamente è solo un numero, e come tale non mi fissa.
Non sopporto che qualcuno mi guardi mentre dormo. Nemmeno mentre tengo gli occhi chiusi, da sveglia.

lunedì 24 febbraio 2014

Quadratura not found

Stasera, uscendo dall'ufficio, Pibi mi ha detto che quel progetto di lavoro che avevo scritto, sì, sarebbe il caso di scriverlo meglio (labor limae?), di dargli un'altra forma (labor lapidis), e che per farlo dovrei provare a mettere da parte il mio lato ingegnere (labor difficilis), tirando fuori piuttosto il mio lato letterario (labor difficilior).
Ero di fretta, e forse lui lo era più di me, sennò credo che avrei trovato il modo di spiegargli che sono un cerchio.
Così poi, per strada, ho cominciato ad augurarmi questo e quello. Pensavo a tutto il possibile, e a niente.

giovedì 20 febbraio 2014

Non comprare una vocale, per favore.

C'era una volta un cane, un bel labrador dall'aria vispa e intelligente. A questo punto ci starebbe, a completamento, un "...di nome *nome-del-cane*", ma se lo dicessi ora rovinerei tutto. In compenso posso soffermarmi sul padrone e sul di lui nome: Carlo. Carlo era un trentenne dall'aria vispa e intelligente, ed era entrato in possesso di quel cane in uno dei modi più banali: anni prima aveva accompagnato il proprio fratello al canile, lì il cucciolo di labrador l'aveva guardato, a Carlo era sembrato che guardasse proprio lui e gli stesse chiedendo di essere portato a casa, e insomma, per farla breve, di lì a poco il suo stato civile passò da "single" a "single con cane". Nel decidere il nome da dargli, in barba al fatto che il quadrupede un nome già ce l'avesse, decise di rendere omaggio a un autore che così tanto lo appassionava: Calvino. Il cane avrebbe dovuto portare il nome del protagonista di uno dei suoi libri. Tuttavia qualcosa come Cosimo Piovasco di Rondò era francamente troppo impegnativo. Amerigo Ormea era triste, triste come la pioggia di novembre, senza contare che l'accoppiata nome e cognome gli sembrava fuori luogo. Marcovaldo, via, era un po' troppo puerile. Insomma, la scelta non poteva cadere altrove che sul suo personaggio preferito: Qfwfq. Pertanto
C'era una volta un cane, un bel labrador dall'aria vispa e intelligente, di nome Qfwfq. Un nome del genere, va da sé, qualche problema poi lo genera inevitabilmente. In particolare, nessuno riusciva a chiamare Qfwfq. Per questo motivo Qfwfq cresceva libero e indipendente, dato che nessuno lo chiamava mai. O meglio, quand'anche qualcuno avesse provato a chiamarlo per evitare che andasse a correre in mezzo alle pozzanghere, il risultato sarebbe stato comunque insufficiente. "Cùfc, fermati!", "Cufùc, a cuccia!", "Vieni qui, Fùc!", ognuno ci metteva del suo nel cercare di dare un suono a quella manciata di consonanti, ma ne uscivano sempre le accozzaglie più disparate.
In mezzo ai propri simili, invece, Qfwfq era molto stimato proprio per quel nome che per un cane era estremamente facile da dire (se si è un cane, basta fare un facile gioco di glottide e diaframma. Se non si è un cane, è meglio lasciar perdere. Sarebbe un po' come tentare di far dire un'affricata postalveolare sonora (ossia la G di giovane) a un tedesco). Molti di loro, invece, si vergognavano molto di quello che i rispettivi padroni avevano scelto a suo tempo, ma Qfwfq non faceva mai pesare la cosa a nessuno.
Quindi, la morale di tutta questa storia si può così riassumere: è importante avere un nome, contribuisce a farci sentire. Non "a farci sentire *aggettivo o sostantivo*", ma proprio a farci sentire, punto. Ancora più importante è che sia un nome che, al momento opportuno, ci permetta di scappare e/o di ignorare con eleganza chi ci sta chiamando.
Qfwfq e Carlo vissero a lungo insieme e felici.

mercoledì 19 febbraio 2014

Su commissione

Non ce la faccio. Eh, no, non ce la faccio mica. Negli ultimi giorni sono entrate nel mio spazio vitale troppe persone che hanno atteggiamenti che grattano sul mio equilibrio come unghie su una lavagna. La coppia di amici che in treno urla. La gente che scrive le frasi più inutili con l'aggravante di cominciarle con il terribile "E poi...". (Una volta era l'avverbio praticamente, c'è stato un periodo in cui era molto molto di moda, che mi innervosiva, e ogni volta che lo sentivo mi partiva l'arco riflesso che mi faceva chiedere: "Perché invece teoricamente com'è?". Per tacere dei fondamentalmente e dei piuttosto che). Quelli che, quando rallento perché il semaforo è rosso, sorpassano. Ma soprattutto, primi a pari merito, o con un lievissimo margine di vantaggio per una delle due categorie (ma non riesco a capire quale, il fotofinish è incerto), ci sono loro. Chi sono loro? Non quelli dell'Area 51, no. Degli altri loro.
I primi sono quelli che ce l'hanno con un numero molto ristretto di persone (al limite anche con una sola) per un motivo in particolare, ma lungi dall'andare a esporre le proprie rimostranze ai diretti interessati, fanno discorsi generali sul non è così che si fa. Evidentemente, per quello che sto scrivendo, devo includermi nell'odioso gruppo. Sì, lo ammetto. Ma ammetto anche che per punizione mi sto colpendo la tibia destra con un mestolo di legno.
Il casus belli in genere è davvero ridicolo (ma non ha neanche senso parlare di casus belli, dato che il bellum non avviene mai), potremmo pensare a un gruppo di N coinquilini in cui uno, sia x, chiuda sistematicamente male il rubinetto, lasciandolo gocciolare. Degli altri N-1, il soggetto y odia i rubinetti che gocciolano. Ai rimanenti N-2, che pure chiudono sempre l'acqua in modo coscienzioso e inappuntabile, non gliene cale granché. Cosa farà y? Sbroccherà, senz'altro, ma è il modo che ancor m'offende, perché lo farà urlando a gran voce cose del tipo che io vorrei proprio sapere chi è quel cretino che ogni volta... eccetera. E puntualmente lo farà in presenza di tutti o parte dei già menzionati N-2 ma in assenza di x, ottenendo in questo modo un triplice risultato negativo (x continuerà col proprio comportamento increscioso, gli N-2 si saranno sorbiti un inutile pippone e, infine, il fegato di y subirà un leggero contraccolpo) e nessun risultato positivo. Come gettare tre fave in un deserto senza piccioni.
I secondi sono quelli che mi fanno sapere che stanno guardando Sanremo (in genere lo fanno con la benevola condiscendenza di chi vuol far vedere che anche il nazional popolare ha un suo fascino chic). Sia chiaro, a loro aggiungo anche quelli che ci tengono a farmi sapere che non stanno guardando Sanremo. Per riassumere, i secondi sono quelli, esclusi i giornalisti accreditati, che parlano di Sanremo. Tipo me, adesso. Ma ho ancora il mestolo in mano. E non ho paura a usarlo.