lunedì 16 dicembre 2013

Contaminazioni

Per una volta un post che non sia farina del mio sacco. E un ringraziamento esplicito a LaSte per aver disegnato quanto sotto, pensando a un mio vecchio post (questo qui).



domenica 8 dicembre 2013

È mio padre.

Lamarta e io condividiamo molte cose. Qualcuno potrebbe sbrigativamente definirci sorelle e, in fede mia, avrebbe ragione, perché tra le varie evidenze che ci accomunano possiamo annoverare anche entrambi i genitori.
Tantissime altre cose ci differenziano, va da sé: per esempio, restando sul macro, mentre io ho la costante sensazione di stare temporeggiando, lei ha una famiglia e un lavoro che tutti comprendono appena lo nomina. Magari pure lei si sente temporeggiante, ma viste da fuori quella in corso d'opera sembro io. Ad ogni modo, il punto non è questo, piuttosto il fatto che abbia una famiglia comprendente una (ormai ex) new entry arrivata poco più di due anni fa, la quale è riuscita in un solo colpo a rendere zii due persone e nonni altre quattro.
Come la schiacciante maggioranza dei nonni in circolazione, anche mio padre è ormai presbite, e prima di leggere qualcosa lo si può vedere girar per casa chiedendosi dove potrà mai recuperare un paio di occhiali, uno dei tre che lascia di volta in volta sul frigo, sul tavolo, sul divano, ... Una volta mia mamma mi raccontò di averne trovato un paio dietro un vaso di fiori. Mah.
Insomma, qualche giorno fa mio padre andò a trovare mia sorella. Alla vista del nonno, il nipotino dagli occhi cerulei chiese che gli venisse letta una storia, ma si dovette scontrare con un mesto "Non posso, ho lasciato gli occhiali a casa". Il giorno successivo la scena si ripeté uguale in tutto, tranne che nel finale: mio padre infatti, memore della piccola delusione suo malgrado inflitta al pargolo, si presentò munito di occhiali e di tanta voglia di leggere libretti colorati. L'episodio, riportatomi da Lamarta, mi fece sorridere. Altra reazione provocò invece in lei: "Si è ricordato, si è portato gli occhiali. Ma ti pare? Ti ricordi quando eravamo piccole noi quanto dovevamo supplicare perché la domenica sera, a cena, ci lasciasse vedere i Puffi, facendogli perdere il telegiornale?! E adesso, da nonno...". Se me lo ricordo? Certo, come fosse ieri, mi ricordo il cosa e il come, quella sensazione di stare facendo qualcosa di intimamente sbagliato. E allora poi, da sola, ci ho ragionato su, e sono arrivata a una conclusione imbarazzante in quanto ovvia: è molto più facile ricordare l'episodio negativo (il famoso albero che cade versus la foresta che cresce eccetera eccetera) a fronte della quotidianità positiva, i giorni dopo giorni dopo giorni a crescere una marmocchia (io) che un tantino pedante e ostica lo è sempre stata, per lo meno a memoria mia. Quanti errori da parte dei miei genitori? Non saprei rispondere, forse tanti, forse pochi, forse il giusto, forse ricordo solo quelli dei quali mi rendo conto di portare le conseguenze, però mi chiedo se avrebbero potuto fare altrimenti, o se non fossero stati messi sul palco a fare la parte dei genitori senza aver letto lo straccio di un canovaccio né aver fatto una minima prova.
Quindi quegli occhiali coscienziosamente portati per la lettura della fiaba mi hanno fatto tenerezza e basta, perché in fondo con mio padre succede spesso così, soprattutto ultimamente, che quando guardo una foto di lui da piccolo piango. Di tutte le persone che mi circondano il mio subconscio è più o meno equanimemente consapevole della transitorietà. La questione l'ho delegata a lui. Nel caso di mio padre, invece, il mio subconscio non ne ha voluto mai sapere, e devo gestirmela io.
È mio padre. Nonostante la stagione che verrà.

martedì 3 dicembre 2013

I miei rami stupidi

Una delle cose che mi mancano di più, qui (di un'altra parlerò in uno dei prossimi post), è il paesaggio con i miei colli. E so bene che a dirlo corro il rischio di passare per la luciamondella della situazione.
Mi manca quella familiarità da vivere da sola, quando finalmente interrompo tutto il mio parlare e parlare e parlare.
L'ultima volta che sono andata a camminarci era mattina presto, e il vento freddo era di quelli che ti fanno venire il dubbio che il naso e le orecchie potrebbero staccarsi da un momento all'altro. Nei tratti in cui mi soffiava alle spalle, era così forte da provare il desiderio di lasciarmi cadere indietro, ci avrebbe pensato quell'aria tagliente a tenermi su, a mo' di poltrona.
Sul piccolo sagrato di una chiesetta c'era una fontanella: il rubinetto, a intervalli di qualche secondo, lasciava cadere una goccia, gelida. Una goccia, una goccia, poi un'altra, e un'altra... Adesso, oggi, e domani e domani e domani...
Mi mancano i miei colli, e il tempo che lì si scopre.