lunedì 11 novembre 2013

Il mio amico George (3)

Qualche giorno fa (credo che molti miei post comincino così: il motivo è che le cose succedono ma le lascio andare, e solo dopo un po' di tempo ritornano spontaneamente a far capolino tra ricordi vari e mezze dimenticanze) sentii squillare il cellulare mentre stavo camminando, da sola, per vie secondarie e tranquille. Era George. Mi sembrò una circostanza singolare, per lo più per l'orario. In realtà non è che da George ci si debba aspettare alcun tipo di regolarità o prevedibilità, non è proprio il tipo. Ciononostante la mia reazione, prima ancora di rispondere, fu di muto sconcerto.
"Senti, ti prego, dimmi che non ti disturbo", attaccò lui, "e se ti disturbo sappi che puoi anche appoggiare il telefono da qualche parte e continuare a fare quello che stavi facendo, metti pure il viva voce e fai un mmm, sì, certo ogni tanto. Andrà benissimo anche così. E guarda che non è un modo gentile per dirti che non mi interessa se mi ascolti o meno, è solo che sento che la deflagrazione è vicina".
Per chi non lo conoscesse, ci tengo a precisare che George è il ritratto dell'imperturbabilità, un misto di consapevole atarassia e di rassegnata presa di coscienza di quanto grottesca possa essere a volte la realtà. Però quando usa la frase la deflagrazione è vicina significa che la ragione si è presa una pausa, lasciando campo libero all'animale. In genere in queste circostanze comincia a parlare più lentamente del solito e con voce più grave. Non che sia propriamente arrabbiato, direi piuttosto che trabocca sdegno.
Questa volta la scintilla era scoccata poco più di un'ora prima, quando aveva dovuto portare dei clienti a vedere non so che tipo di prodotto. In questo tipo di attività lui è particolarmente disinvolto, riesce a non perdere tempo e a far arrivare gli interlocutori di turno a una decisione, positiva o negativa che sia, in tempi relativamente brevi. "Non so cosa mi sia preso stavolta, ma no, ma no, alla fine hanno preso tutto, ma non è questo il problema. Vedi, erano in due, una coppia. Lei si è messa a parlare di, sai quegli sciocchi argomenti di pessimo gusto?, sì, esatto, tipo la politica da bar, e lui le dava corda, sembravano un comico e la spalla, solo che non facevano ridere, ma non so per quale motivo idiota non li ho arginati subito e me ne sono stato come un ebete ad ascoltarli. A sentirli. No, no, ho detto bene, ad ascoltarli. Se ti dico quanto tempo è durata la cosa... No, non te lo dico, non per te, ma perché se ci ripenso mi viene un leggero conato di vomito. Sei pronta? Quasi un'ora. Quasi un'ora, capisci? Alla fine quando sono andati via mi sono sentito svuotato, come un burattino, al quale fosse stata portata via un'ora di tempo di vita, durante la quale avrei potuto, non so... Avrei potuto fare qualcosa di meglio che ascoltare quei due. Avrei potuto vivere meglio".
Mi faceva piacere che si sfogasse con me. Ma dove gliela andavo a recuperare, io, quell'ora perduta?

mercoledì 6 novembre 2013

Una per trovarti, l'altra per sparire

Ho difficoltà a rileggere libri o a rivedere film. Lo faccio, certo, ma di rado, e per un motivo da persona molto noiosa: mi inquieta così tanto l'evidenza che non avrò il tempo per vedere e leggere e conoscere tutto ciò che vorrei, che una parte di me mi chiede sempre con veemenza di ottimizzare il più possibile. Anche se poi mi ritrovo a perdere quantità di tempo sconsiderate su cose ridicole, il che mi porta a pensare che forse il processo di ottimizzazione sia ben lontano dall'aver raggiunto un risultato soddisfacente.
Ad ogni modo, anni fa, durante l'università, stavo preparando un esame abbastanza soporifero per i miei gusti (Biomateriali, per chi c'era). Era domenica, una bella giornata di maggio, e insomma era frustrante sentire dalle finestre le famigliole che andavano a passeggio godendosi il sole primaverile, mentre io avevo la sola e monotona compagnia del libro e dell'orologio. E fu proprio l'orologio, con quelle tre lancette ammonitrici, a regalarmi un'ombra di malessere: pensai alle lancette come alle mie personali Parche (Parche da polso, da muro...), intente a chiedersi dove avessero messo le forbici.