sabato 24 marzo 2012

La luna e i "farò..."

Leggendo Pavese, trovai molto familiare una considerazione fatta dal protagonista de La luna e i falò. Rimuginando tra sé e sé, si rendeva conto che "non mi lasciava mai capire se con me si fermava per creanza o perché ci stesse volentieri".
E alla fine è l'approccio tipico che adotto con la stragrande maggioranza delle persone con cui ho a che fare. Tendenzialmente propendo per la prima possibilità, e credo che il motivo sia perché a mia volta trovo poco interessante fare conversazione (o presunta tale) con parecchia gente, e quindi di riflesso do per scontato che gli altri pensino lo stesso nei miei confronti. Così il cerchio si chiude abbastanza velocemente: 1. io non impazzisco di gioia all'idea di essere educatamente socievole; 2. sotto questa premessa, ritengo che anche gli altri non anelino particolarmente all'essere educatamente socievoli con me; 3. se qualcuno è educatamente socievole con me, cerco di giungere altrettanto educatamente a una conclusione, non tanto perché io sia scocciata, ma piuttosto perché assumo che l'interlocutore di turno sia tale solo "per creanza", e quindi gli accorcio il supplizio; 4. contribuisco a dare di me l'immagine di quella che non impazzisce di gioia all'idea di essere educatamente socievole. E si torna al punto 1.
Eppure lo faccio per fare un favore.