martedì 27 dicembre 2011

Ultima dea

A volte l'inatteso si fa attendere.
E poi, quando meno non te lo aspetti, s'irrealizza.

giovedì 15 dicembre 2011

He won the lottery, he died next day.

Qualche sera fa stavo parlando con R:. La situazione era di quelle che favoriscono la chiacchiera, sotto le coperte, luce spenta, ancora qualche rimasuglio di punsch che trotterellava facendosi sentire soprattutto in zona cerebrale. Che gran cosa la capillarità, o la pompa cardiaca, o l'antigravità, o qualsiasi meccanismo sia che fa salire l'alcool alla testa. Fosse anche semplice risucchio da vuoto.
E' singolare parlare al buio, l'interlocutore perde la componente facciale, ma la voce è proprio la sua, non come al telefono. Al buio non ci sono distrazioni, e ogni parola pesa il triplo.
Facciamo il doppio va', che il punsch alleggerisce.

Non ricordo come, probabilmente con fare pindarico, si sia arrivati a parlarne. L'argomento si potrebbe in qualche modo riassumere con un Uno, Nessuno e Centomila, ma al contrario. Il problema non è dato tanto dai diversi modi con cui gli altri ci vedono, piuttosto dai diversi modi con cui noi ci comportiamo con gli altri, a seconda di chi essi siano, dall'impossibilità di cambiare questi schemi e soprattutto dal disagio che a volte si prova nell'accorgersi che con qualcuno, il soggetto A, che magari non vediamo da tempo, assumevamo un modo d'essere, chiamiamolo B, che ora non ci appartiene più, o a cui non siamo più abituati. Però ormai A ci conosce come B, e magari lui sarebbe anche disposto a cambiare la nostra immagine in C, ma siamo noi che non riusciamo a staccarci dal nostro ex B, per quanto ci stia stretto, se siamo con A.

Anni fa, prima che scoppiasse la musical-mania, leggendo Notre-Dame de Paris avevo trovato molto condivisibile il personaggio di Frollo, soprattutto quando si confronta con Jehan, suo fratello, che "non rispettava altra legge al mondo se non la buona legge di natura". Un jehan sarà verosimilmente sempre in un'unica configurazione A, un frollo no. O, per lo meno, se anche un frollo conservasse egli stesso un'unica configurazione B, non sarebbe comunque quella di default, ma un artificio impegnativo da mantenere. Un jehan non vive col freno a mano tirato.

Poi è arrivata la corazzata Disney e ha mandato tutto in malora.

domenica 11 dicembre 2011

Un po' di incoerenza, per cortesia.

Come nasce un proverbio? Mi son posta questa domanda qualche giorno fa. Chi sarà stato il primo a dire "Rosso di sera, bel tempo si spera"? E com'è che da colui che ha teorizzato una simile presunta certezza (che immagino essere stato un umile omino sconosciuto alla maggior parte della popolazione italiana) la notizia si è diffusa nello spazio e nel tempo?
Non trovando una risposta interessante nei successivi tre minuti, ho lasciato che la cosa cadesse nel mio personale dimenticatoio, peraltro molto affollato. Se non che, ahimè, il Natale si sta avvicinando.
Vorrei che fosse chiaro, le feste comandate non mi entusiasmano. A causa del "feste" o del "comandate"?
A causa del "feste comandate".
E qual è il proverbio delle feste comandate? Per carità, magari non sarà l'unico, ma nella mia crassa ignoranza proverbiale direi che è il più inappellabile. Eccolo lì, in tutta la sua tronfia arroganza, che viene a spiegarmi che "Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi".
Lo trovo un po' rétro, per quel che mi riguarda lo aggiusterei in alcuni punti. Per esempio, questa distinzione tra il Natale e la Pasqua. Semplificherei tutto. Una prima proposta potrebbe essere "Natale con chi vuoi, Pasqua con chi vuoi", però è pesante, ripetitivo. E poi perché limitarsi a due giorni all'anno? Personalmente mi convince molto di più una versione forse un tantino forte, ma ben riassunta:
"Con chi vuoi".
Punto.

C'è un problema nel sistema. E il problema è rappresentato da un altro proverbio, che dice "Se fa rima, vuol dire che è vero", e il mio "Con chi vuoi" non fa rima neanche sforzandosi.
Però però, che dire del "Se fa rima, vuol dire che è vero"? Mica fa rima.
In un primo momento pensavo di avere in mano le chiavi per smontare tutto questo castello di proverbi basato su un equivoco colossale. Se non che, riflettendo, sono arrivata alla conclusione che il sistema è molto più complesso e ben architettato, e che la sapevano lunga anche prima che Godel ci venisse a spiegare le sue favolette. Se il sistema dei proverbi, chiamiamolo P, è coerente, non sarà possibile dimostrarne la coerenza stando all'interno di P.
Quindi?

Quindi per Natale facciamo da noi o da voi?

mercoledì 7 dicembre 2011

Who What When Where

Una frase che sento dire con regolarità a scadenza annuale da mia mamma in questo periodo è: "Mah, che anno... Non mi sembra neanche che sia Natale", pronunciata ovviamente con aria mesta e dimessa. A dir la verità, andando indietro con la memoria, fatico a ricordare il primo anno in cui non l'abbia detta. Un po', certo, mi dispiace per lei, ma devo ammettere che l'empatia non arriva alla simpatia: temo che la causa di questo ostacolo alla partecipazione sia dovuto al fatto che non riesco a focalizzare cosa ci si possa attendere dal Natale.
Voglio dire, uno che se ne esca con un "Che stagione balorda, non sembra neanche estate", ammesso che non sia un servizio del telegiornale, posso capirlo. Estate, ci si aspetta il solito scenario che per quel che mi riguarda mi fa dubitare del fatto che questo Pianeta sia davvero quanto di meglio per la sopravvivenza umana. Ma tralasciando i giudizi di un fototipo che si incenerisce al primo sole, direi che è chiaro cos'è che uno si immagina per l'estate. Idem per l'inverno e via così. Si potrebbe obiettare che non esistono più le stagioni, ma in quanto a questo ragionar sottile, lascio che siano i canuti frequentatori di sale d'attesa del medico a dare pareri scientifici più accreditati.
Tornando piuttosto al problema iniziale, mi chiedo, cos'è che uno si aspetta per il Natale? Purtroppo il Babbo te lo fregano prima che tu possa imparare a scrivergli da solo in modo comprensibile e decente una letterina come si deve. La neve? Una cometa di passaggio? Un re magio che suoni alla porta? Grazie, appoggi pure l'oro vicino al portaombrelli. Incenso e mirra ne abbiamo già due pacchi in dispensa.

Mi crea sempre un certo disagio non riuscire a entrare nel modo di ragionare di alcune persone. Non di tutte, chiaro, per quel che mi riguarda di fronte a certi sguardi vacui e/o a certi dialoghi/monologhi al limite della demenza non azzardo il minimo tentativo di carotaggio cerebrale.
Però ci sono alcuni soggetti che investigherei con il lanternino. Condizione non necessaria e nemmeno sufficiente è che li conosca.

Il fine settimana scorso ho fatto un viaggetto a Vienna. In realtà questo post avrebbe voluto essere un post di viaggio, ma non appena in procinto di mettermi a scrivere mi sono resa conto che l'immagine più forte che mi è rimasta in mente non aveva a che fare con il viaggio vero e proprio, ma con una persona che ho visto alla partenza. E così quello che avrebbe potuto essere un riassunto di piccoli, ameni episodi sta per diventare una riflessione noiosa e scontata, ma almeno metto le mani avanti. Per dirla con Wilde, chi vuole andare oltre lo fa a proprio rischio e pericolo.
Procederò con ordine.

Quando: venerdì scorso, otto di sera, in attesa del treno Venezia-Vienna.
Dove: bar-MacDonald's della stazione di Mestre.
Chi: R: ed io.
Cosa: stavamo cenando e meno male che si era in due, perché a cenare con questi "dove" e "quando" da soli non è che si rischi di slogarsi la mandibola per le risate. Mi accorgo che al tavolo a fianco al nostro c'è una ragazza dall'età indefinibile e dallo stato mentale altrettanto vago, evidentemente imbottita della chimica più maledettamente psicotropa. Canticchiava, si alzava, faceva due passi da funambola, si risedeva, e il tutto poteva ricominciare, per ripetersi indefinitamente.
Il fil rouge che mi ha portato fino a qui? Il fatto che avrei voluto capire cosa stava succedendo il quel cervello perché ci fosse un'anarchia così completa. Potrei rispondermi "Beh, leggiti al volo il teorema di uniformizzazione di Riemann e poi ne parliamo", ma per quello si tratta di pigrizia.
E così mi vedevo a osservarla senza volerla guardare, riproponendomi la domanda più scontata, fastidiosa e abusata dopo il "Come va?": la quinta W mancante.