martedì 27 dicembre 2011

Ultima dea

A volte l'inatteso si fa attendere.
E poi, quando meno non te lo aspetti, s'irrealizza.

giovedì 15 dicembre 2011

He won the lottery, he died next day.

Qualche sera fa stavo parlando con R:. La situazione era di quelle che favoriscono la chiacchiera, sotto le coperte, luce spenta, ancora qualche rimasuglio di punsch che trotterellava facendosi sentire soprattutto in zona cerebrale. Che gran cosa la capillarità, o la pompa cardiaca, o l'antigravità, o qualsiasi meccanismo sia che fa salire l'alcool alla testa. Fosse anche semplice risucchio da vuoto.
E' singolare parlare al buio, l'interlocutore perde la componente facciale, ma la voce è proprio la sua, non come al telefono. Al buio non ci sono distrazioni, e ogni parola pesa il triplo.
Facciamo il doppio va', che il punsch alleggerisce.

Non ricordo come, probabilmente con fare pindarico, si sia arrivati a parlarne. L'argomento si potrebbe in qualche modo riassumere con un Uno, Nessuno e Centomila, ma al contrario. Il problema non è dato tanto dai diversi modi con cui gli altri ci vedono, piuttosto dai diversi modi con cui noi ci comportiamo con gli altri, a seconda di chi essi siano, dall'impossibilità di cambiare questi schemi e soprattutto dal disagio che a volte si prova nell'accorgersi che con qualcuno, il soggetto A, che magari non vediamo da tempo, assumevamo un modo d'essere, chiamiamolo B, che ora non ci appartiene più, o a cui non siamo più abituati. Però ormai A ci conosce come B, e magari lui sarebbe anche disposto a cambiare la nostra immagine in C, ma siamo noi che non riusciamo a staccarci dal nostro ex B, per quanto ci stia stretto, se siamo con A.

Anni fa, prima che scoppiasse la musical-mania, leggendo Notre-Dame de Paris avevo trovato molto condivisibile il personaggio di Frollo, soprattutto quando si confronta con Jehan, suo fratello, che "non rispettava altra legge al mondo se non la buona legge di natura". Un jehan sarà verosimilmente sempre in un'unica configurazione A, un frollo no. O, per lo meno, se anche un frollo conservasse egli stesso un'unica configurazione B, non sarebbe comunque quella di default, ma un artificio impegnativo da mantenere. Un jehan non vive col freno a mano tirato.

Poi è arrivata la corazzata Disney e ha mandato tutto in malora.

domenica 11 dicembre 2011

Un po' di incoerenza, per cortesia.

Come nasce un proverbio? Mi son posta questa domanda qualche giorno fa. Chi sarà stato il primo a dire "Rosso di sera, bel tempo si spera"? E com'è che da colui che ha teorizzato una simile presunta certezza (che immagino essere stato un umile omino sconosciuto alla maggior parte della popolazione italiana) la notizia si è diffusa nello spazio e nel tempo?
Non trovando una risposta interessante nei successivi tre minuti, ho lasciato che la cosa cadesse nel mio personale dimenticatoio, peraltro molto affollato. Se non che, ahimè, il Natale si sta avvicinando.
Vorrei che fosse chiaro, le feste comandate non mi entusiasmano. A causa del "feste" o del "comandate"?
A causa del "feste comandate".
E qual è il proverbio delle feste comandate? Per carità, magari non sarà l'unico, ma nella mia crassa ignoranza proverbiale direi che è il più inappellabile. Eccolo lì, in tutta la sua tronfia arroganza, che viene a spiegarmi che "Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi".
Lo trovo un po' rétro, per quel che mi riguarda lo aggiusterei in alcuni punti. Per esempio, questa distinzione tra il Natale e la Pasqua. Semplificherei tutto. Una prima proposta potrebbe essere "Natale con chi vuoi, Pasqua con chi vuoi", però è pesante, ripetitivo. E poi perché limitarsi a due giorni all'anno? Personalmente mi convince molto di più una versione forse un tantino forte, ma ben riassunta:
"Con chi vuoi".
Punto.

C'è un problema nel sistema. E il problema è rappresentato da un altro proverbio, che dice "Se fa rima, vuol dire che è vero", e il mio "Con chi vuoi" non fa rima neanche sforzandosi.
Però però, che dire del "Se fa rima, vuol dire che è vero"? Mica fa rima.
In un primo momento pensavo di avere in mano le chiavi per smontare tutto questo castello di proverbi basato su un equivoco colossale. Se non che, riflettendo, sono arrivata alla conclusione che il sistema è molto più complesso e ben architettato, e che la sapevano lunga anche prima che Godel ci venisse a spiegare le sue favolette. Se il sistema dei proverbi, chiamiamolo P, è coerente, non sarà possibile dimostrarne la coerenza stando all'interno di P.
Quindi?

Quindi per Natale facciamo da noi o da voi?

mercoledì 7 dicembre 2011

Who What When Where

Una frase che sento dire con regolarità a scadenza annuale da mia mamma in questo periodo è: "Mah, che anno... Non mi sembra neanche che sia Natale", pronunciata ovviamente con aria mesta e dimessa. A dir la verità, andando indietro con la memoria, fatico a ricordare il primo anno in cui non l'abbia detta. Un po', certo, mi dispiace per lei, ma devo ammettere che l'empatia non arriva alla simpatia: temo che la causa di questo ostacolo alla partecipazione sia dovuto al fatto che non riesco a focalizzare cosa ci si possa attendere dal Natale.
Voglio dire, uno che se ne esca con un "Che stagione balorda, non sembra neanche estate", ammesso che non sia un servizio del telegiornale, posso capirlo. Estate, ci si aspetta il solito scenario che per quel che mi riguarda mi fa dubitare del fatto che questo Pianeta sia davvero quanto di meglio per la sopravvivenza umana. Ma tralasciando i giudizi di un fototipo che si incenerisce al primo sole, direi che è chiaro cos'è che uno si immagina per l'estate. Idem per l'inverno e via così. Si potrebbe obiettare che non esistono più le stagioni, ma in quanto a questo ragionar sottile, lascio che siano i canuti frequentatori di sale d'attesa del medico a dare pareri scientifici più accreditati.
Tornando piuttosto al problema iniziale, mi chiedo, cos'è che uno si aspetta per il Natale? Purtroppo il Babbo te lo fregano prima che tu possa imparare a scrivergli da solo in modo comprensibile e decente una letterina come si deve. La neve? Una cometa di passaggio? Un re magio che suoni alla porta? Grazie, appoggi pure l'oro vicino al portaombrelli. Incenso e mirra ne abbiamo già due pacchi in dispensa.

Mi crea sempre un certo disagio non riuscire a entrare nel modo di ragionare di alcune persone. Non di tutte, chiaro, per quel che mi riguarda di fronte a certi sguardi vacui e/o a certi dialoghi/monologhi al limite della demenza non azzardo il minimo tentativo di carotaggio cerebrale.
Però ci sono alcuni soggetti che investigherei con il lanternino. Condizione non necessaria e nemmeno sufficiente è che li conosca.

Il fine settimana scorso ho fatto un viaggetto a Vienna. In realtà questo post avrebbe voluto essere un post di viaggio, ma non appena in procinto di mettermi a scrivere mi sono resa conto che l'immagine più forte che mi è rimasta in mente non aveva a che fare con il viaggio vero e proprio, ma con una persona che ho visto alla partenza. E così quello che avrebbe potuto essere un riassunto di piccoli, ameni episodi sta per diventare una riflessione noiosa e scontata, ma almeno metto le mani avanti. Per dirla con Wilde, chi vuole andare oltre lo fa a proprio rischio e pericolo.
Procederò con ordine.

Quando: venerdì scorso, otto di sera, in attesa del treno Venezia-Vienna.
Dove: bar-MacDonald's della stazione di Mestre.
Chi: R: ed io.
Cosa: stavamo cenando e meno male che si era in due, perché a cenare con questi "dove" e "quando" da soli non è che si rischi di slogarsi la mandibola per le risate. Mi accorgo che al tavolo a fianco al nostro c'è una ragazza dall'età indefinibile e dallo stato mentale altrettanto vago, evidentemente imbottita della chimica più maledettamente psicotropa. Canticchiava, si alzava, faceva due passi da funambola, si risedeva, e il tutto poteva ricominciare, per ripetersi indefinitamente.
Il fil rouge che mi ha portato fino a qui? Il fatto che avrei voluto capire cosa stava succedendo il quel cervello perché ci fosse un'anarchia così completa. Potrei rispondermi "Beh, leggiti al volo il teorema di uniformizzazione di Riemann e poi ne parliamo", ma per quello si tratta di pigrizia.
E così mi vedevo a osservarla senza volerla guardare, riproponendomi la domanda più scontata, fastidiosa e abusata dopo il "Come va?": la quinta W mancante. 

martedì 15 novembre 2011

Spento o non raggiungibile.

Mi rendo conto che a volte non è tanto il dire qualcosa, quanto piuttosto il sapere che di là c'è qualcuno a  cui dirlo.
E tutto questo nonostante non sopporti coloro che hanno velleità di pensatori di aforismi.

venerdì 11 novembre 2011

E può affogare.

Mi piace molto l'inizio de Il favoloso mondo di Amélie, quando lei fa l'elenco di tutte le piccole cose quotidiane che le piacciono, come il rumore della crosticina della crème brulée, o come guardare la faccia degli spettatori al cinema, mentre viene proiettato il film.
La settimana scorsa ero da sola in macchina e pioveva, era sera ed ero ferma al semaforo. Sapevo che il semaforo sarebbe stato lungo e ne ho approfittato: ho spento il tergicristalli. E mi è venuto in mente l'inizio del film, perché mi son resa conto che mi piace molto quando sono in macchina e piove parecchio e posso spegnere il tergicristalli. Dopo un po' il parabrezza sembra smerigliato, tutte le luci si fondono e confondono e sembrano colare sul vetro, gialle, rosse e arancioni. E mentre tutti ti girano intorno e tu diventi il centro di te stesso, sembra che tutto venga lavato e scorra via.

giovedì 10 novembre 2011

Periodo ipotetico 2.0

Vorrei dirti una cosa, ma se te la dicessi non ci crederesti. E se sapessi che ci crederesti non te la direi.

domenica 9 ottobre 2011

C'è del marcio...

Qualche settimana fa mi sono iscritta su anobii, il social network a tema libri. Devo ancora vedere come funziona: pensavo fosse molto simile a facebook e che si creasse anche lì una rete di "amici" dei quali si vedono i libri letti, desiderati, iniziati e non finiti etc. Invece ogni iscritto può vedere tutto di chiunque. In effetti lo scopo di anobii prescinde dal mettere in contatto persone che si conoscano. Per esempio, al momento ho appena saputo che Boil ha aggiunto Thinking about Magritte alla propria libreria. E lo stesso dicasi per yett con La storia di Gordon Pym. Ora, non mi interesserà mai sapere chi siano questi signori Boil e yett, ma magari mi interessa sapere che ne pensano di Magritte e di Pym, e poi da uno scambio di battute si cominciano discussioni interessantissime e molto molto colte, e ci si intrattiene a vicenda per settimane, per poi scoprire che Boil è il proprietario di una catena di librerie che sta aprendo un megastore giusto in centro, mentre yett è una gentile libraia che ha un piccolo e vecchio negozio di libri per bambini, e che rischia di chiudere baracca a causa proprio di, incredibile!, Boil. Ma questa è un'altra storia.
Fatto sta che mi sono messa a sistemare nella mia libreria virtuale tutti i libri che ho letto. O per lo meno tutti quelli che finora mi sono venuti in mente. E nel farlo non potevo non pensare a quanto tempo ho perso e leggere libri brutti, che non rileggerei mai. Ma non solo negli ultimi anni. La riflessione va indietro indietro indietro nel tempo, a quando, in prima elementare, la maestra ci ha fatto leggere Cipì (no, non l'ho messo nella libreria. Però potrei anche. In fondo ho messo Il codice da Vinci). Perché far leggere una storia del genere a dei bambini? Poche cose mi ricordo della prima elementare, ma sicuramente non dimenticherò più il momento in cui ho scoperto che l'Uomo uccide Margherì, l'amica margherita si Cipì. Che brutti momenti. E poi uno si chiede perché cresce ombroso. Un paio di teorie ce le avrei.
Quindi, mi chiedevo, se dovessi non dico stilare il mio personale index librorum prohibitorum, ma piuttosto fare una lista dei libri caldamente sconsigliati per un individuo che non abbia ancora cominciato a farsi un'idea di che cosa contenga il mondo della letteratura, cosa toglierei? Banalmente, in un primo momento pensavo di cassare le storie che finiscono male. Ma non tutte, piuttosto quelle che finiscono male senza che me ne venga qualcosa, a me che leggo. Per esempio, un Amleto non può essere tolto. Sarà straziante, una carneficina, ma muoiono anche i cattivi e in un contesto di meraviglia compositiva che fa pensare che il grande bardo ci sapesse proprio fare, fosse egli un lui, una lei, una persona reale, inventata o un gruppo di scimmie che battevano tastiere spinte da una propulsione di improbabilità infinita.
Ma in linea di massima perché dovrei starci male anche per il mondo fittizio, oltre che per il reale?
Una prima obiezione che mi son fatta è stata: "Beh, Il Codice da Vinci va a finire bene, che faccio? Lo tengo?". In realtà come obiezione fa un po' acqua, perché si può dire che vada a finire bene? Meglio, si può dire che vada a finire? Una storia che abbia capo e coda va a finire, ma una senza che fa?
Però poi ho notato che, sempre su anobii, il suddetto Codice ha totalizzato un punteggio medio di 3,5 su un massimo di 5, ed è posseduto da 6700 e rotte persone, contro le 700 dell'Amleto. Al che ho concluso che sono la solita bacchettona e che, d'altronde, cosa ci si può aspettare da un gruppo di scimmie?

lunedì 19 settembre 2011

Il mondo è come un treno...

Non "in ritardo". O forse sì, anche in ritardo. Ma soprattutto piccolo. E affollato. Per cui per trovare un posto, possibilmente all'ombra, è questione di selezione naturale. E non sempre vince il più forte (quello che crede di stare giocando a rugby e che si butta a salire quando ci sono ancora i poveretti che stanno scendendo), o il più veloce (quello che ha lo scatto felino e ti stacca già ai blocchi di partenza). Eh no, negli stretti corridoi anche l'arma dell'astuzia si fa strada, e benché la tratta che si fa sia sempre quella, giorno dopo giorno, e il sole si comporti grosso modo sempre allo stesso modo (sorgo di qua, tramonto di là, sorgo di qua, tramonto di là, sorgo...), c'è sempre il povero sprovveduto che esita chiedendosi se sia meglio sedersi a destra o a sinistra. E l'esitazione è fatale. Cosa ne direbbe Darwin? Che il fototipo 1 è più furbo del fototipo 6? Secondo me sì. E lo dico disinteressatamente.
Ma insomma, nella tratta quotidiana, che è ancora sempre quella, le persone sviluppano abitudini difficili da modificare, e tu ti ci adatti sviluppando a tua volta abitudini conseguenti. Così ormai lo sai che in prima carrozza si siedono quelle otto (OTTO!) matrone, più o meno -one, che sparlano e spettegolano e sghignazzano tutto il tempo. Per cui la prima carrozza è da evitare come la peste. D'altra parte sai altrettanto bene che in ultima carrozza si siede il signore narcolettico con pancia, che russa che lo si sente per tutto il vagone, nonostante le cuffie. Signore a propria volta accompagnato da due amici che si siedono vicini a lui e lo ignorano per tutto il viaggio (d'altronde l'altro sentitamente ricambia) e parlano amabilmente di questioni da bar sport. Per cui l'ultima carrozza è da evitare come i promoter al supermercato. Non è che ne restino tante, di carrozze. E quindi ormai le persone che come te rifuggono i rumori molesti le conosci un po' tutte, di vista.
C'è una coppia di amici a cui mi è capitato spesso di sedermi vicina. Credo che entrambi lavorino per l'università. Giovani, lei penso sia in ambiente letterario, lui scientifico. Una conversazione che avevo intercettato tempo fa era stata proficua, lui stava spiegando a lei che la firefox in realtà non è una volpa, ma un koala. Ovviamente non mi sono fidata di queste voci di corridoio e sono andata a controllare su fonte certa (wiki), e devo ammettere che c'era del vero. E che detto koala rosso è pure molto carino e che non mi dispiacerebbe avere un firefox per casa. Ma questa è un'altra storia. Insomma, questi due mi davano l'impressione di due tipi svegli, preparati, che sanno un sacco di cose, lei lettere, lui scienza, praticamente perfetti e completi, cosa manca? Ho usato il passato perché stamattina è successo. Ho intercettato la conversazione che ha scardinato tutto. Maledizione.
Lui (A): No, l'equinozio è quando hai tanta luce e tanto buio.
Lei (B): Quindi l'estate!
A: No, l'autunno e la primavera.
B: Ma...
A: Perché luce e buio sono più o meno metà, 12 ore e 12 ore. Per questo EQUInozio.
B: Ah, "tanto" nel senso di uguale!
A: ...
B: Avevo capito "tanto" nel senso di "molto"!
A: No, no, tanta luce e tanto buio nel senso di uguale.
B: Sì, beh, potrebbe essere un metodo...
A: Eh, io ho trovato questo trucco qua, sennò anch'io facevo sempre casino.
B: ...
A: ...
B: Mi ricordo che una volta, ero in vacanza a Firenze con degli amici, e avevo trovato il modo per ricordare con chi stavano i guelfi e i ghibellini!
A: ...
B: Sai, chi stava col papa e chi con l'imperatore.
A: Ah...
B: Mi pareva che fosse che chi ha il nome lungo sta con chi ce l'ha corto e viceversa. Quindi "ghibellini", che è lungo, sta con "papa", che è corto, e "guelfi" con "imperatore"!
A: Beh, sì, può essere un metodo...
B: ...anche se già adesso non sono proprio convinta che fosse così...

Mi sono trattenuta. Ma domattina non posso promettermi che ci riuscirò. E se ci riuscirò, il problema si riproporrà per tutte le mattine da qui a tantissimi anni. Quindi ho pensato una serie di possibili soluzioni:
1. fingere una conversazione telefonica (dato che in genere viaggio da sola), il cui tema sarebbe "Eh, i vecchi tempi in cui le cose erano chiare e definite, quando se eri guelfo sapevi che stavi col papa, e se eri ghibellino con l'imperatore. E avevi anche le merlature a coda di rondine!", giusto nel caso ci fosse dubbi anche sulla forma dei merli;
2. aspettare la volta in cui trovo in treno qualcuno che conosco e spingere la conversazione sul tema: Ti senti più guelfo o ghibellino? Tema che peraltro, chi non affronta tutti i giorni?
3. Farmi amica i due personaggi e un bel giorno metterli di fronte alla Verità;
4. salire in treno con una maglietta con maxi scritta educativa;
5. viaggiare con le matrone.

martedì 23 agosto 2011

Equilibrio dinamico

Spesso e volentieri il mio sfogatoio è la bici, un bel giretto distensivo, stancante, rilassante e via. Con il tempo è diventata talmente un'abitudine, che ha perso un po' del suo non so che. Voglio dire, ormai è difficile che quando vado in bici pensi "Oh, sto andando in bici". Ci vado e basta.
Tant'è, l'altro giorno stavo pedalando e mi sono resa conto che lo stavo facendo. Per certe attività c'è chi dice che si riesce a farle bene solo se non si pensa troppo a quello che il corpo sta facendo, perché se dovessimo pensare a coordinare ogni singolo movimento in modo completamente cosciente, sarebbe solo un gran caos. Credo c'entrino i sistemi piramidale ed extrapiramidale, ma chi se ne ricorda più... Ma il problema non è che mi son messa a pensare a quello che avrei dovuto fare per non cadere, piuttosto il problema è che non riuscivo a incontrare la minima difficoltà, e mi son trovata a rimpiangere un po' la sensazione fisica che avevo le prime volte che andavo in bici. Il sentore che la caduta era inevitabilmente prossima, ma forse non così inevitabilmente, la sensazione di equilibrio instabile sì, ma non troppo. Però un pochino, quel poco che è quasi piacevole.
A volte avrei voglia di queste mini sfide, un po' fisiche, un po' mentali, un po' emozionanti, un po' preoccupanti ma un po' eccitanti. O forse lo dico solo perché so che questa è andata a buon fine.

martedì 16 agosto 2011

La luna ed i grilli normalmente mi tengono sveglia

Mi piacciono le parole, possibilmente che non abbiano un significato immediato, quindi che all'inizio rappresentino solo un suono. Poi magari posso perdermici a pensare cosa vogliano dire. Le migliori sono quindi i cognomi delle persone e i nomi dei paesi.
Qualche giorno fa ero in treno, e stavo andando a Merano. Potrei soffermarmi almeno su tre aspetti del viaggio: le persone in treno, i mondi di distanza tra le diverse stazioni, i nomi dei paesi.
Tralascio il primo, anche se sentire una ragazza che racconta al moroso che le hanno fatto leggere "una poesia, insomma... un pezzo del Barbiere di Siviglia che, sì alla fine è un dramma... teatrale!, e in questo brano si parla del chiacchiericcio, perché insomma il chiacchiericcio insomma è un po' come il vento, e così." rappresenta sempre uno spunto di riflessione. Ma va specificato che a farglielo leggere è stato il capoufficio o una figura del genere, una persona dall'evidente cultura enciclopedica, il quale, a sentire le sagge parole di questa gradevolissima e involontaria compagna di viaggio "non ha vita sociale, cosa vuoi, non ha amici, non ha la morosa, cosa vuoi che faccia? Legge! (Nel senso del verbo leggere, non del sostantivo, n.d.a.)". Eh, a volte la gente ha abitudini singolari.
Per quanto riguarda le stazioni, che dire... In poche ore mi è davvero sembrato di aver attraversato tempi e luoghi remotissimi. Dopo un'oretta trascorsa a lasciarsi alle spalle stazioncine desolate e abbandonate, spesso a binario unico (sì, unico), scendo per il primo cambio: stazione di Nogara. Teoricamente trattasi di stazione relativamente importante, essendo l'incrocio di linee che vanno a Verona, Bologna, Mantova, Padova, Brennero... Fatto sta che all'arrivo mi sono sentita calare nella parte della povera Claudia Cardinale all'inizio di quelle cinquanta ore (percepite) di film che è C'era una volta il west. Se non fosse che lì non c'erano decine di persone che caricavano e scaricavano cose. Ma il vuoto circostante era quello.
Ah già, l'altra differenza è che non mi chiamo Claudia.
Campi polverosi da una parte, binari in mezzo, niente polveroso dall'altra, cielo abbacinante, cicale. Ho già nominato la sensazione di polvere ovunque?
Tempo un paio di orette e, dal treno preso nel frattempo, si cominciano a vedere paesotti montanari (e dintorni) tutti con il loro verde rassicurante, le fioriere fuori dalle biglietterie, cielo azzurro dotato di nuvolotti. Dopo una successiva mezz'oretta, salita sul terzo e ultimo treno, si susseguono stazioni che hanno un che di fiabesco. E spesso di vagamente poco italico, se vogliamo, quantomeno nei nomi.
Oh, i nomi. Al di là delle inquietanti e adiacenti stazioni di Mori e di Peri (che lette con l'accento sulle rispettive "i" mi facevano pensare che avesse tirato le cuoia in zona qualcuno di straordinariamente importante, tanto da meritare ben due stazioni e nemmeno il nome. Una specie di ipse. O di manzoniano "ei"), una volta passata Bolzano ci si immerge nel fiabesco. E nei meli, certo. Meli meli meli meli decine centinaia di meli meli meli, tanto da farmi sospettare che il mondo si nutra esclusivamente e inconsapevolmente di mele, che ci verrebbero offerte non solo sotto forma di mele, ma camuffate da qualsiasi cosa, dal Buondì Motta al sushi. Sono tutte mele. Altrimenti non mi spiego quella quantità smisurata di meli meli meli meli - stazione - meli meli meli... Ma tornando ai nomi, già Ponte d'Adige e Lana Postal mi sembravano uscire da un libro dei fratelli Grimm. Il culmine è stato raggiunto dalla stazione di Settequerce. Ero quasi commossa. Settequerce. Ma chi l'avrà deciso il nome, Tolkien? E soprattutto, nessuno mi toglierà dalla testa che il sindaco di un paese con questo nome sia per certo un gufo. Saggio e con gli occhiali.
E se non lo è, sicuramente il sindaco impostore si fa segretamente consigliare da un gufo. Saggio e con gli occhiali.

mercoledì 10 agosto 2011

Le parole che non voglio dire

Rivoglio il piuttosto. Ma quello che voleva dire proprio "piuttosto", non "e anche", o "oppure". E mi faccio promotrice dell'eliminazione dei quant'altro. Le fattispecie spero che abbiano esalato già l'ultimo respiro. Assieme ai fondamentalmente e agli assolutamente, che giacciano sotto montagne di sostantivi, avverbi, preposizioni e silenzi.

lunedì 25 luglio 2011

...che faccia rima con "potassio".

Stasera c'era un cielo bello, di quelli con un temporale da una parte e il cielo azzurro dall'altra e un po' di nuvole diverse buttate qua e là. Insomma, di quelli che mi fanno pensare "Se sapessi dipingere..." oppure "Se sapessi scrivere..." e tutti i vari Sesapessi del caso. Ma il punto non è tanto nei congiuntivi, quanto in un altro pensiero che mi è venuto in mente. Perché quello era uno di quei cieli che, in determinate giornate, a guardarlo, mi mette a disagio: scatta l'interruttore "Modalità saturnina attivata" e da lì è tutta in discesa. Invece stasera me lo guardavo e riguardavo senza remore, malinconie, virate al chisiamodadoveveniamodoveandiamo. E chissà perché, poi. Voglio dire, è provato empiricamente su di me che talvolta basta una cosa da nulla per spostarmi sullo stato d'animo del ritorno dalla gita.
I ritorni dalle gite li ricordo sempre col sole al tramonto (non si poteva tornare al mattino? Ho capito che per le gite da fare in giornata risulta un po' scomodo, ma il mio umore ne avrebbe beneficiato a palate), l'autista che guida verso ovest (un po' come Lucky Luke che alla fine di ogni storia se ne va con Jolly Jumper verso il tramonto cantando che lui è un cowboy solitario. Anche se non ricordo autisti cantanti), i gitanti più o meno barcollanti e privi di coscienza, salvo i pochi che a fine giornata erano più esaltati che al mattino. Tipo io. Per dirne una, di ritorno dalla Spagna al mattino non ho neanche pagato la colazione all'autogrill da quanto sonno avevo. Me ne sono resa conto che ormai eravamo in Francia (fuggita all'estero a mia insaputa). Ma ora della sera (ovviamente al tramonto con Jolly Jumper che guida), arrivati a destinazione, mi pareva che non potesse essere finito così. "Ok, e adesso?". Adesso niente, fine, era solo una gita. Non è proprio malinconia, quella che viene dopo. Piuttosto una sorta di saudade.
Per esempio, al primo temporale di fine estate, la sensazione, andando a letto, di non avere più solo un lenzuolo (e spesso neanche quello), finestre aperte e tendenza a mettersi a stella marina, ma di doversi acciambellare sotto la coperta leggerina che, e il motivo qualcuno me lo dovrà spiegare, fa sembrare il lenzuolo più liscio. Finisce l'estate, che peraltro non mi piace, eppure la sensazione è un po' un "E adesso?".
Insomma, tutto questo per dire che a volte un cielo con certe caratteristiche mi fa lo stesso effetto, ma a volte no, e vorrei sapere il discrimine quale sia. Anni fa leggevo di un poeta medico (o medico poeta, non lo so), di cui non ricordo il nome né la poesia in questione, solo un pezzo di verso che mi fa dubitare della correttezza del ricordo, dato che su google non l'ho più trovato (google assurto a verità inappellabile? Uhm...). Quello che ricordo era qualcosa simile a "...un immondo transmembranar di sodio, potassio, serotonina...", che mi aveva colpito più che altro per il verbo, e che lui usava per parlare di cose molto profonde che chissà quali erano. Ora, che a decidere se una sera il cielo neanche mi accorgo che ci sia, e una sera lo stesso cielo mi debba far venire il mal di gita siano una manciata di ioni che fanno le corse nel mio sottocute, beh, speravo che la mia autocoscienza avesse basi più nobili.
Ma forse mi sto affidando al medico sbagliato. Un buon dottor House tirerebbe fuori qualcosa di più esotico, per lo meno. E mi sentirei più soddisfatta.

martedì 19 luglio 2011

Verso Cambridge - 10 luglio 2011

Giornata partita male, con sciopero treni e conseguente treno Monselice - Padova soppresso, quindi corsa in auto verso Padova e meno male che era domenica e presto, quindi l'arrivo è stato in tempo. Da lì Venezia, con TRE e dico TRE gruppi di ragazzetti in viaggio-vacanza-studio tutti col loro bravo zainetto uguale uguale.
In volo avevo vicino il tipico englishman pallido e biondorosso e lentigginosissimo che mi ha raccontato di essere venuto a Venezia per cantare al matrimonio di amici che hanno pensato bene di sposarsi a Venezia, appunto, e di fare la festa in un palazzo sul Canal Grande (che lui chiamava Gran Canal, essendo inglese, non fa una piega. Tipo l' "abbandonato carro" del cartone animato di Asterix). Beh, le foto erano incredibili. Perché, sì, mi ha fatto vedere le foto. Ma non erano gli inglesi quelli che consideravano maleducato attaccare bottone con gli sconosciuti sui mezzi pubblici? Fatto sta, poi s'è messo a discutere con sua moglie (moglie?) tutto scandalizzato dei 55 milioni di sterline spesi da qualcuno famoso per sposarsi di recente (Kate Moss? Coso di Monaco? WilliamandKate? Chissà).
Viaggio in pullman Stansted - Cambridge. Piacevole. Nel senso che il paesaggio tipico di qua, poco da fare, mi piace: il cielo con le nuvole di tutti i toni, dal bianco al grigio scuro più sprazzi di azzurrissimo. Che bello. Sarò infantile, ma che bello. E una cosa che mi commuove sono le staccionate. Voglio dire, sei dentro a queste strade larghe e lunghe e con tutti che corrono (ma ordinati, siamo inglesi), ai lati hai campi e verde che vira al verde o declina tutte le tonalità di verde e cosa c'è ai lati della strada? Una staccionata. Lunghissima. Di quelle dei fumetti, o della pubblicità dell'oliocuore insomma. Che non c'entra niente, ma è commovente. E poi mi stavo abbioccando, ma per l'autoradio mi si presenta Bryan Adams con chitarrina di ordinanza e la sua summer del '69. E quindi mi son svegliata e mi son messa a pensare che lo ascoltavo quando avevo dieci anni e come passa il tempo!, che invece adesso ero lì, in mezzo alle staccionate, straniera in terra straniera, e se a dieci anni mi fossi vista che me ne vado a zonzo da sola e indipendente avrei pensato che "Wow, che figata, che donnachenondevechiederemai!", e invece la realtà era che ero lì che pensavo a tutte le paure che ho, alle paure delle cose, delle situazioni, delle paure. E così.
Poi niente, sono arrivata e benché l'autista mi sconsigliasse di andare a piedi perché a sentire lui era taaanta tanta strada, ero ben intenzionata ad arrangiarmi on foot. Anche perché le alternative sarebbero state 1. autobus (= mi perdo); 2. taxi (ma no, ignominia e pigrizia). E quindi ecco, mi son vista un po' di Cambridge, ed è tanto tanto caruccia. Però pare un po' finta. Anche se è proprio carina. L'omino della reception del college pareva finto pure lui, con tutti quei welcome e happy to have you here e Cambridge is definitely beautiful e gira pure tranquilla anche da sola che qui sei in una botte di ferro e... Ok, al muro era appeso un foglio tipo "wanted", con l'identikit di un presunto stupratore seriale che negli ultimi non ricordo quanti mesi aveva aggredito otto (otto?!?!?) persone, ma facciamo finta di niente.
Beh, in effetti Cambridge E' definitely beautiful, almeno al primo approccio. Perché poi sono andata a farmi un giretto che è partito con l'intenzione di essere solo un giretto, ma poi si è un po' allungato. Il King's college è mozzafiato. I parchi inglesi sono i parchi inglesi. I giardini sono commoventi. E anche le barchette lungo il fiume, e i salici, e le paperelle le campane le meridiane il sole che fa mille riflessi sui cancelli ... E mi son trovata a pensare che wish you were here, ma lo pensavo solo per miss R:, Zorro, Cinque e Lamarta. I primi tre perché son stata così bene in viaggio con loro. L'ultima perché non ci ho mai fatto un viaggio insieme, ma ci ho parlato prima di partire. E sicché niente, la solita malinconia per questi ricordi che non potrò condividere.
Poi ho cenato in un localino che da fuori prometteva bene, molto pub. Però aveva il tavolo (da 2) vicinissimo a un tavolo (da 2) con due tipi simil-crucchi, uno sembrava l'ispettore Derrick da giovane (ossia sempre uguale), l'altro un metallaro ingrigito, e quindi per evitare che attaccassero bottone (non sia mai! Via via, sciò!)  mi son messa a scrivere qui.
E comunque gli inglesi che dicono campana per dire conto io non li capisco...